Fisco e contabilità

La Cassazione conferma: niente Ici-Imu sul fabbricato fatiscente

di Pasquale Mirto

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 23801/2017 conferma l'esclusione dall'Ici/Imu dei fabbricati collabenti, accatastati in categoria F/2, senza rendita, in linea con quanto già deciso con la sentenza n. 17815/2017 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 31 luglio 2017).

Il principio
La Corte enuncia il seguente principio di diritto: «in tema di imposta comunale sugli immobili, il fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile come fabbricato in quanto privo di rendita, non è tassabile neppure come area edificabile, sino a quando l'eventuale demolizione restituisca autonomia all'area fabbricabile, che da allora è tassabile come tale, fino al subentro della tassazione del fabbricato ricostruito».
Ancora una volta, però, le argomentazioni dei giudici di legittimità non convincono, perché escludono dall'imposizione un bene che ha una sua (e a volte rilevante) reddittività, collegata non al valore del fabbricato, ma all'area di sedime, nel caso in cui lo strumento urbanistico comunale ne preveda ancora lo sfruttamento per nuove edificazioni.

La questione della rendita
Né si può riconoscere l'esclusione dall'imposizione per il semplice fatto che si tratti di “fabbricato” senza rendita, per il quale quindi non è possibile determinare la base imponibile. Si tratta di argomentazione fragile che non tiene conto che il concetto di fabbricato rilevante ai fini Ici/Imu è ancorato alla redditività dello stesso, ovvero al fatto che debba presentare «un autonomia funzionale e reddituale». L'area di sedime del fabbricato ordinariamente non ha un suo autonomo rilievo, ma questo solo perché nella determinazione della rendita catastale si include anche il suo valore, e questo impedisce una sorta di doppia imposizione. Ma, una volta che il fabbricato non ha più valore, non si può sostenere che il valore dell'area di sedime, se ancora dotato di capacità edificatoria, è incluso nel valore del fabbricato, ma al contrario acquisterà nuovamente un autonomo rilievo, perché si tratta comunque di bene incluso nella categoria delle aree fabbricabili.
A tale conclusione era anche arrivato il Pubblico Ministero che, nel chiedere la rimessione alle Sezioni Unite, ha manifestato il proprio dissenso rispetto a questo nuovo orientamento di legittimità, rilevando che: «i) l'unità collabente sia catastalmente irrilevante, perciò incapace di negare l'autonoma considerazione fiscale dell'area d'insistenza; ii) detta esegesi implichi il paradosso dell'integrale esonero impositivo dell'area edificata con fabbricato collabente, area invece tassata come edificabile se libera da tale fabbricato».

La decisione
Il Collegio però ha ritenuto di poter assicurare continuità alla recente giurisprudenza della Corte, osservando che «l'area libera da cascami edilizi versa in condizione di pronta edificabilità, mentre l'area impegnata da rovine esige interventi di demolizione e bonifica necessari a reintegrare in concreto le potenzialità edificatorie del suolo, non potendosi accostare le due fattispecie, divergenti anche sotto il profilo della capacità contributiva del proprietario».
Si tratta di un’osservazione molto fragile, che non tiene in debito conto la normativa di riferimento e in particolare l'articolo 5, comma 5 del Dlgs 504/1992 che nel dettare i criteri da seguire per valorizzare la base imponibile dei fabbricati impone anche di considerare gli «oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione». È quindi evidente, che il vero rispetto della capacità contributiva non si ottiene escludendo dall'imposizione chi possiede un area fabbricabile con sovrastanti fabbricati diroccati, ma imponendo di determinare il valore di tale area al netto dei costi di demolizione.

La sentenza della Corte di cassazione n. 23801/2017

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