Amministratori

Il presidente del consiglio comunale in bilico fra neutralità politica e capitale reputazionale

di Massimiliano Atelli

La sentenza 1286/2018 della V sezione del Consiglio di Stato (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 19 marzo) segna un passaggio importante sul delicato tema - di fortissima attualità e trasversalità - del capitale reputazionale della Pa. Con questa decisione, infatti, il massimo giudice amministrativo ha ammesso la revoca (incentrata sulla «salvaguardia dell'immagine esterna del Comune») del presidente di un consiglio comunale sulla base di una mozione di sfiducia sottoscritta dal sindaco e da dieci consiglieri, e quindi per motivi non strettamente contemplati dalla normativa in tema di revoca del presidente dell'assemblea; nella specie, in parte motiva il provvedimento di revoca aveva stigmatizzato la mancata dichiarazione che l'impresa appartenente a congiunti del presidente del consiglio comunale fosse stata colpita da un'interdittiva antimafia, e fosse al contempo destinataria dell'aggiudicazione di un appalto da parte dello stesso Comune.

Le ragioni della revoca
Nel ribadire che il ruolo del presidente del consiglio comunale è strumentale al corretto funzionamento dell'organo, sicché la revoca è possibile solo per motivi istituzionali e non politici, il Consiglio di Stato ha però ribaltato l'esito del giudizio di primo grado osservando che tra i motivi «istituzionali» che legittimano la revoca va ricompresa anche la salvaguardia dell'immagine esterna dell'amministrazione, pregiudicata dalle condotte del presidente perché nell'attuale contesto storico è arduo ritenere che una situazione come quella descritta sia indifferente sotto il profilo dell'opportunità istituzionale (sebbene nella specie il presidente dell'assemblea comunale non fosse stato interessato personalmente dall'interdittiva, e risultasse estraneo alla compagine sociale dell'impresa destinataria). Del resto, ha concluso la V Sezione, anche la giurisprudenza ha riconosciuto che è legittima la revoca del presidente del consiglio comunale nel caso in cui sia comprovata una perdita di neutralità politica (Consiglio di Stato, sezione V, 26 novembre 2013, n. 5605), necessariamente basata sull'assenza di coinvolgimenti, anche indiretti, in vicende che destano allarme sociale, specie in una dimensione di comunità territoriale non aliena dal rischio di potenziali fenomeni di infiltrazione mafiosa.

Dalla neutralità alla reputazione
La decisione merita attenzione perché, evidentemente, un conto è deliberare la revoca del presidente dell'assemblea invocandone una perduta neutralità politica, ben altro è invece farlo in nome della salvaguardia dell'immagine esterna del Comune (motivazione, fra l'altro, di ardua riconducibilità a una sorta di rapporto fiduciario fra presidente e organo consiliare che appare di improbabile configurabilità). Nel primo caso, infatti, è l'interesse dell'istituzione (e, allo stesso tempo, quello delle singole forze politiche rappresentate nell'assemblea) a rendere ragionevole l'esautoramento di chi è o si dimostri - nell'ambito della dinamica politica - non più super partes, condizione essenziale per rivestire quel ruolo di garanzia. Nel secondo caso, invece, l'allontanamento dalla carica si baserebbe sul ravvisato rischio, da parte dall'assemblea, per il capitale reputazionale dell’amministrazione, e la revoca avrebbe dunque luogo in nome di ragioni di opportunità istituzionale.

Due limiti
Nella premessa di questa distinzione di fondo fra le due situazioni, in prima approssimazione sono possibili due considerazioni riguardo alla decisione della V Sezione e alle sue implicazioni. Per un verso, a evitare che si possa trasformare nell'ennesimo improprio strumento di lotta politica, la revoca per ragioni di opportunità istituzionale va ampiamente motivata con riferimento a fatti oggettivi, e di stretta attinenza (fattuale, giuridica e logica). Per altro verso, questa forma di revoca rilancia - in un tornante della storia, come quello che stiamo vivendo, vibrante di tensioni morali ed etiche che sembravano affievolite - il tema dell'immagine (o, come forse sarebbe più esatto dire, del capitale reputazionale) della Pa. Molto evocato, tanto applicato, e però ancora troppo poco studiato per comprenderne davvero l'intima essenza.

La sentenza 1286/2018 del Consiglio di Stato

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