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La crisi pesa sulla demografia soprattutto al Sud e nelle isole

Ogni anno l’Istat effettua il «Bilancio demografico nazionale», un essenziale check-up dello stato della popolazione italiana, misurando i “sintomi” demografici: il livello delle nascite, dei decessi, dei movimenti migratori. Qualche volta, questo check-up fornisce delle sorprese, con valori inaspettatamente superiori o inferiori rispetto alle attese, che indicano un miglioramento o un peggioramento dello “stato di salute” della popolazione italiana. Non è così per i dati sul 2017, che sono stati diffusi questa settimana: non ci sono sorprese. Purtroppo, perché le aspettative non erano delle migliori. La popolazione italiana non gode di buona salute. Che l’Italia abbia un problema demografico non è certo una novità. Tuttavia, quando i sintomi di malessere persistono, dobbiamo pensare che il problema stia diventando cronico. La popolazione italiana cala per il terzo anno consecutivo, malgrado una ripresa dei flussi migratori. Questa ripresa, se scomposta, racconta di un sintomo ulteriore: i cittadini italiani che emigrano sono più di quelli che ritornano (di 42mila unità, per la precisione). L’Italia è tornata a essere un Paese di emigrazione, come per gran parte del ventesimo secolo, che fornisce linfa demografica a Paesi più ricchi. Allo stesso tempo, l’Italia rimane un Paese di immigrazione, come nell’ultimo quarto di secolo, che attira linfa demografica da Paesi più poveri: ormai quasi il 2% dei residenti in Italia è di cittadinanza rumena - e l’8,5% di cittadinanza non italiana.
Le nascite continuano a diminuire, ormai stabilmente sotto la soglia del mezzo milione annuo, con un calo anche dei nati con genitori stranieri. Fino alla crisi iniziata nel 2008 le nascite erano in ripresa, rimanendo più o meno allineate al numero dei decessi a livello nazionale. Prima della crisi economica, il declino demografico non pareva un destino ineluttabile e necessario, grazie alla combinazione tra la ripresa delle nascite e un saldo migratorio positivo. Dal 2009 in poi, il calo delle nascite è stato ininterrotto, accompagnato con l’emigrazione di italiani.

Il peggioramento dei dati
La prima lezione che traiamo dal check-up della popolazione è questa: la causa principale dell’aggravarsi della situazione demografica recente in Italia è la crisi economica, la grande recessione. Se è vero che lo stato di salute della popolazione italiana non era florido in precedenza, è il 2008 a segnare una discontinuità importante nella velocità di cambiamento, e a portare a un declino della popolazione.
I sintomi del peggioramento dello stato di salute della popolazione italiana non sono egualmente distribuiti tra le varie regioni. La popolazione del Nord è essenzialmente stabile. Quella del Centro cala del 14 per mille. Ma è al Sud (meno 35 per mille) e nelle isole (meno 52 per mille) che il declino demografico diventa molto evidente. La seconda lezione che traiamo dal check-up della popolazione è questa: il declino demografico italiano è un declino soprattutto del Sud e delle isole, e in parte del Centro. Coerentemente con la centralità della crisi, nelle aree dinamiche del Nord lo stato di salute della popolazione, seppur generalmente non buono, è migliore. Se continuano queste tendenze, peraltro presenti anche nelle previsioni demografiche che lo stesso Istat ha prodotto a maggio di quest’anno, il baricentro del Paese si sposterà sempre più velocemente verso Nord. La demografia seguirà l’economia, con un Mezzogiorno in doppia crisi. Il declino demografico, soprattutto se veloce, si accompagna infatti all’invecchiamento della popolazione, con il diradamento della popolazione giovanile che diventa quasi invisibile in alcune aree.

Proposte e politiche
Non possiamo non far tesoro di queste due lezioni, soprattutto quando il nuovo governo è chiamato a formulare proposte e politiche concrete con un orizzonte potenzialmente di legislatura. La prima lezione suggerisce un teoricamente semplice e clintoniano «It’s the economy, stupid!». Ormai è chiaro che una sostenuta ripresa economica sia la necessaria precondizione di una ripresa demografica - il sentiero stretto della crescita economica ci potrebbe guidare anche verso una demografia meno boccheggiante. La seconda lezione mostra che il declino demografico è ormai un aspetto centrale della “questione meridionale”, una minaccia che nel caso del Sud e delle isole mette a rischio l’esistenza stessa della popolazione di cui vogliamo misurare lo stato di salute.
Per le proposte e le politiche concrete che mirano a invertire le tendenze al declino, occorre poi avere presenti i tempi del cambiamento demografico, in seguito a una miriade di decisioni che cambiano la vita di individui e le famiglie, che guardano quindi al lungo periodo. Per rassicurare chi sta decidendo se diventare genitore, una scelta irreversibile, la situazione economica e le misure di sostegno debbono essere percepite come stabili, oltre che favorevoli. Un bonus alla nascita non basta. Allo stesso modo, non basterà un bonus al compimento dei diciott’anni per un giovane che si trova di fronte all’opportunità di inseguire un sogno all’estero, o in zone più ricche del Paese partendo dal Meridione. Politiche stabili e non una tantum, riforme strutturali che aiutino giovani, donne, famiglie e bambini. Essenziale, poi, che l’effetto di queste politiche si misuri con un check-up demografico rigoroso e continuo. Con la speranza di avere notizie migliori dall’Istat per gli anni a venire.

Il bilancio dell’Istat

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