Amministratori

Il vincolo di destinazione sui contributi per l’emergenza migranti crea disagi ai Comuni

di Mimma Amoroso

Il parere sulla natura vincolata dei contributi erogati dal ministero dell’Interno ai Comuni nell’ambito del programma «Flussi migratori, interventi per lo sviluppo della coesione sociale, garanzia dei diritti, rapporti con le confessioni religiose», reso dalla Corte dei conti Lombardia con delibera n. 177/2017, potrebbe avere effetti negativi sui bilanci di diverse amministrazioni locali.

Il fondo
L'articolo 12 del Dl 193/2017 (convertito dalla legge n. 225/2016) aveva previsto l'istituzione di un fondo gestito dal dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione e che con specifico decreto, a concorso degli «oneri che sostengono i Comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale» venissero stabiliti i criteri di erogazione ai Comuni di un contributo per ciascun richiedente protezione ospitato nel limite massimo di 500 euro e comunque nei limiti della disponibilità del fondo.
Il decreto del 30 dicembre 2016, quindi, ha tenuto conto del numero di richiedenti asilo presenti nelle strutture di accoglienza della rete Sprar, di quelle allestite dalle Prefetture, nonché, per i luoghi di sbarco, della media di migranti arrivati nel 2016.
Le risorse sono state accreditate da tempo, ormai, e anche sulla scorta delle indicazioni fornite dallo stesso dipartimento (che in tal senso ha diramato una nota), sono state considerate svincolate da una specifica destinazione. Conclusione alla quale l'amministrazione centrale è arrivata considerando la genesi della norma e il dibattito dei mesi precedenti alla sua emanazione (peraltro nemmeno chiuso nei mesi successivi) e, cioè, avendo ben presente che si era cercato di sedare l’animo agli amministratori locali più irrequieti (contrari agli insediamenti di strutture di accoglienza in quanto per loro produttivi di effetti negativi sull'intero assetto amministrativo del Comune), ma anche a parte della popolazione, che si è sentita privata (erroneamente) di benefici invece riconosciuti ai migranti.
L’istituzione del fondo, in sostanza, valeva come forma di ristoro, soprattutto per i Comuni più piccoli, per gli inevitabili effetti che l'improvviso arrivo di decine o centinaia di migranti ha determinato nell’ordinaria gestione dei servizi pubblici. Quale cittadino o amministratore di Cona, in Veneto, per esempio, avrebbe potuto immaginare che sarebbero piovuti nelle casse del piccolo Comune oltre 300 mila euro? Non sappiamo come siano state impiegate tali somme, ma non è inverosimile immaginare che il Comune avrà avuto l'occasione per sistemare una piazza, una strada, un servizio per il quale non riusciva a trovare risorse sufficienti.

Il parere
È qui che si interpone il parere 177/2017 della Sezione Lombardia, che con un ragionamento rigorosamente attinente alla legge (articolo 187 del tuel), anzitutto richiama la distinzione tra fondi liberi, vincolati, destinati agli investimenti e accantonati, e, in particolare, la definizione attribuita dal comma 3 ter dell'articolo 187 alle entrate vincolate «derivanti da trasferimenti erogati a favore dell'ente per una specifica destinazione determinata».
Di conseguenza – desume la Corte, senza troppe interlocuzioni – atteso che le risorse erogate agli enti locali derivano da un fondo ricadente nel programma «Flussi migratori, interventi per lo sviluppo della coesione sociale, garanzia dei diritti, rapporti con le confessioni religiose» le erogazioni statali che ne derivano «devono necessariamente essere destinate a detta finalità».
Premesso che sarebbe utile destinare maggiori risorse alla popolazione straniera, sembra che la Corte dei conti lombarda abbia perso di vista la dimensione del fenomeno nella sua interezza e, soprattutto, non abbia tenuto conto dei riflessi che questa valutazione può determinare sulla gestione delle risorse già deliberata dai Comuni. Non vorremmo mai che un eventuale impiego non strettamente riconducibile al fenomeno migratorio possa essere contestato in sede di controllo di legittimità dei bilanci!
In ogni caso, a sostegno dell'operato delle amministrazioni locali si può dimostrare come sia indubbio che la presenza di popolazione straniera regolarmente residente (qual è quella dei richiedenti asilo) incida sulla gran parte dei servizi erogati dal Comune, come quelli di anagrafe, ai quali è connesso il rilascio della carta di identità, o quelli dei trasporti e di raccolta dei rifiuti. Servizi che ben potrebbero rientrare nella voce garanzia dei diritti che a livello comunale devono essere riconosciuti ai migranti, ma anche a tutti gli altri cittadini residenti, senza discriminazione. Ed è altresì indubitabile come invece le politiche strettamente connesse ai flussi migratori e ai rapporti con le confessioni religiose siano di esclusiva pertinenza statale e non possono trovare corrispondenti attività a livello comunale.

L’aspetto della marginalità sociale
Un altro aspetto che non è stato tenuto in considerazione riguarda le misure varate con la conversione del decreto legge 91/2017 (legge 123/2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 12 agosto scorso n. 188) nell'ambito delle disposizioni per affrontare situazioni di marginalità sociale.
L'articolo 16 del decreto, tra l'altro, prevede che per il 2018 il Fondo istituito in base al decreto 193/2017 venga incrementato di 150 milioni «Quale concorso dello Stato agli oneri che sostengono i Comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale». L'attuale versione della norma deriva da un emendamento apportato in sede di conversione del decreto legge in Senato che ha introdotto le parole «che accolgono richiedenti protezione internazionale» al posto del testo precedente che prevedeva «per i servizi e le attività strettamente funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti».
Perciò la volontà è chiara: nel cassare il riferimento a servizi e attività strettamente funzionali all'accoglienza e all’integrazione dei migranti, la legge ha inteso eliminare qualunque possibile forma di discriminazione al contrario, ed evitare, quindi, che la popolazione consideri gli enormi sforzi finanziari dello Stato solo in favore dei richiedenti asilo e non anche degli italiani.
Ed è per questo che nel 2018, come accaduto nel 2016, verrà riconosciuto un contributo statale ai Comuni che accolgono richiedenti asilo a concorso degli oneri sostenuti per i servizi pubblici erogati nel loro complesso, contributo che, per inciso, è stato elevato rispetto allo scorso anno sino a 700 euro per ogni persona accolta nella rete Sprar e confermato sino a 500 per i richiedenti asilo accolti nelle altre strutture.
Di conseguenza, rispetto a questa espressa (e condivisibile) volontà del legislatore, come si pone il parere della Corte? Sembra evidente che l'interpretazione restrittiva del giudice contabile debba trovare un necessario contemperamento con l'esigenza di mantenere la pace sociale; c’è da sperare in un ripensamento della magistratura contabile, magari attraverso un nuovo pronunciamento della della Sezione centrale che offra una più lungimirante valutazione sull'impiego delle preziose risorse del programma «Flussi migratori».

La delibera della Sezione Lombardia n. 177/2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©