Amministratori

Non si può negare la concessione di tavoli e sedie al chiosco per motivi generici di «decoro urbano»

di Daniela Dattola

Il provvedimento di disdetta della concessione demaniale relativa ad un chiosco installato sul Ponte Milvio (area soggetta a vincolo di tutela monumentale) e quelli successivi di diniego della concessione per il mantenimento in tale area di tavolini e sedie a servizio del chiosco, adottati dal Comune di Roma capitale (ai sensi del combinato disposto degli articoli 52 co 1-ter del Dlgs 22 gennaio 2004, n. 42 e 21-quinquies della legge 7 agosto 1990 n. 241), sono illegittimi.
Decretare tautologicamente l’incompatibilità con il decoro urbano dell’attività svolta dall’esercizio commerciale e dei suoi arredi senza esplicitarne i motivi, dà infatti luogo a vizio di motivazione dei provvedimenti adottati per violazione dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241/1990. Lo ha deciso il Tar Lazio – Roma, Sezione II ter, con la sentenza n. 3373/2018.

I possibili limiti all’esercizio del commercio in aree di valore culturale

In base all’articolo 52 del Dlgs n. 42/2004, si ha che:
- «i Comuni, sentito il Soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio» (comma 1);
- «al fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti (…), i competenti uffici territoriali dei Ministero (ministero dei Beni Culturali, n.d.r.), d’intesa con la Regione e i Comuni, adottano apposite determinazioni volte a vietare (…) l’uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di (…) occupazione di suolo pubblico» (comma 1-ter).
I Comuni avviano procedimenti di riesame ai sensi dell’articolo 21-quinquies della legge n. 241/1990 delle concessioni predette nel caso in cui queste non risultino più compatibili con le esigenze di cui al comma 1 della norma in esame. Il delicato rapporto tra la protezione dell’ambiente cittadino con caratteri di rilevanza culturale e la disciplina della libertà di iniziativa economica si risolve, quindi, con l’attribuzione alla Pa di un potere specifico di individuare su base territoriale ambiti e forme di protezione dell’ambiente urbano, che si sostanzino in un’interdizione allo svolgimento di attività commerciali alle condizioni di legge. In aggiunta, si rileva che, per costante giurisprudenza, la concessione di occupazione di suolo pubblico per attività commerciali «non costituisce un diritto soggettivo pieno e perfetto alla fruizione della superficie concessa, essendo soggetta ad una permanente regolamentazione della Pa relativa non solo all’an della sua concessione, ma anche all’utilizzo dell’area e la sua revocabilità per ragioni di interesse generale, tra le quali rientra certamente anche l’esigenza di tutela del decoro dell’ambiente urbano circostante» (Tar Lazio – Roma, Sezione II ter, sentenza 22 marzo 2016 n. 3536).
Per quanto esposto, la Pa, a tutela del decoro urbano, può adottare piani di massima occupabilità delle vie, delle piazze, dei ponti e di qualsiasi spazio pubblico, che si giustificano nell’esigenza di individuare forme omogenee della loro fruizione da parte degli operatori commerciali.

L’obbligo di motivazione dei provvedimenti
Il combinato disposto degli articoli 3, comma 1, e 21-quinquies, comma 1, della legge n. 241/1990 impone che tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli di revoca di precedenti provvedimenti ad efficacia durevole, debbono essere motivati. La motivazione deve obbligatoriamente indicare i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno determinato la decisione della Pa in relazione alle risultanze dell’istruttoria.

Il fatto
La società ricorrente, titolare della concessione demaniale relativa ad un chiosco installato in Roma, sul Ponte Milvio, ha inizialmente impugnato gli atti recanti la disdetta della stessa, quelli successivi di diniego della concessione per il mantenimento sul posto di tavolini e sedie a corredo del chiosco, nonché la deliberazione comunale di approvazione del piano di zona per la massima occupabilità del Ponte Milvio e delle vie limitrofe, lamentando che la zona è ricolma di tavolini; l’occupazione della ricorrente insiste in loco da quasi venti anni; la motivazione della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma, sulla cui base il Comune di Roma ha adottato i provvedimenti sfavorevoli alla ricorrente, è irragionevole. In seguito, la ricorrente ha dichiarato di non avere più interesse a coltivare il ricorso nella parte in cui è stato impugnato il provvedimento di disdetta della concessione, perché il piano di massima occupabilità in questione ha confermato il mantenimento del chiosco nell’attuale posizionamento.

La decisione
Il Collegio, dichiarata dunque in via preliminare l’improcedibilità del ricorso riguardo alla domanda di mantenimento della concessione per il chiosco, ha accolto il ricorso quanto all’invocata collocazione dei tavolini e delle sedie a corredo della struttura, rilevando il difetto motivazionale dei provvedimenti impugnati in ordine al concreto pregiudizio che il mantenimento di tali elementi di arredo arrecherebbe al decoro urbano.
L’Amministrazione, invero, si era limitata a decretare l’incompatibilità del mantenimento dei menzionati elementi di arredo con il decoro urbano, «sulla base di frasi di stile e tautologiche, senza alcuna relazione con la specificità del luogo in grado di esplicitare, e dunque far comprendere, i motivi della opposta incompatibilità degli arredi medesimi con il vincolo gravante sull’area monumentale ovvero con i valori storici e architettonici del luogo interessato».

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