Amministratori

Futuro incerto per i grandi porti

La riforma della governance dei porti, che ha ridotto da 24 a 15 il numero delle Authority che raggruppano gli scali italiani, ed è stata messa a punto dal Governo anche con l’obiettivo di rendere operativamente snelle la neonate Autority di sistema portuale, si sta scontrando con un rallentamento amministrativo, nelle scelte e nei processi decisionali, che allarma gli operatori. Un’impasse che sta pesando sul futuro di alcuni porti italiani. In particolare su Taranto, Gioia Tauro, Cagliari, Venezia e gli scali siciliani. La questione è emersa con forza ieri, nel corso dell’assemblea di Federagenti, l’associazione che raggruppa gli agenti marittimi italiani.

Taranto

La situazione di quello che era uno dei tre scali di transhipment italiani (insieme a Cagliari e Gioia Tauro) è emblematica. L’addio alle banchine dell’operatore Evergreen, nel 2015, ha messo inginocchio la movimentazione container dello scalo. A questo si è aggiunta la lunga vicenda giudiziaria dell’Ilva che ha pesato anche sui traffici portuali. E attualmente lo scalo pugliese si trova con il molo polisettoriale (già banchina dei container) vuoto. D’altro canto proprio Taranto è uno dei porti italiani che maggiormente hanno goduto di finanziamenti pubblici. Per i suoi moli sono stati stanziati, dal 2013 in poi, per interventi infrastrutturali, circa 500 milioni (200 provenienti dalla stessa Authority e il resto da risorse statali e da fondi comunitari gestititi dallo Stato stesso e dalla Regione), ricorda il presidente dell’Adsp del Mar Ionio, Sergio Prete. «Di questi – aggiunge – finora ne abbiamo spesi circa 250». Denari che sono serviti al riassetto delle banchine del porto «Attualmente – dice Prete – il molo polisettoriale è finito mentre la piattaforma logistica dello scalo è quasi pronta: si sta procedendo ai collaudi statici». Mancano però le merci. È in corso, infatti, da lungo tempo, il processo per assegnare a un terminalista la banchina appena ristrutturata. Un primo bando è finito senza assegnazione, ora, ricorda Prete, «ci sono due domande di concessione e una manifestazione di interesse da un terzo soggetto. Appena ci arriveranno le integrazioni che abbiamo loro richiesto, procederemo alla pubblicazione dell’avviso per ricevere eventuali domande concorrenti». Intanto Taranto spera nell’avvio della Zona economica speciale (Zes): si attende la pubblicazione del decreto attuativo, al quale deve seguire la proposta di istituzione che deve essere presentata dalla Regione al Governo.

Gioia Tauro

Per quanto riguarda Gioia Tauro, lo scalo, nel primo semestre dell’anno marca una perdita dell’11,1% nella movimentazione di container. «È il più grande e oggi forse unico porto di transhipment italiano - sottolinea Gian Enzo Duci, presidente di Federagenti – ma soffre perché gli sono imposte regole e tassazioni dei porti commerciali», mentre altri scali di trasbordo nel Mediterraneo hanno, ad esempio, tasse di ancoraggio molto più basse. Msc, che è l’armatore grazie al quale Gioia non è rimasto senza traffici, come invece è successo a Taranto, paga, spiega Michele Mumoli, presidente degli agenti marittimi della Calabria, «12 milioni l’anno di tasse di ancoraggio. Mentre in altri porti quali il Pireo, Malta, Valencia, Algeciras o Tangermed, si pagano al massimo 2-3 milioni l’anno». Occorre, insomma, «garantire al più importante hub italiano di transhipment dei container (che tra l’altro è l’unico scalo in Italia guidato da un commissario straordinario, ndr) normative e regole del gioco che gli consentano di competere ad armi pari con la concorrenza mediterranea ed europea».

Cagliari

Anche il porto di Cagliari mostra una crisi (-28% del traffico container nei primi nove mesi dell'anno), dovuta alla decisione, ad aprile di Hapag Lloyd, di spostare su altri scali alcuni servizi, con una massa ingente di traffici. «In prospettiva - afferma Duci - il traffico di Cagliari potrebbe scomparire. In Sardegna, però, l’Adsp di tutti i porti regionali potrebbe svolgere un ruolo eccezionale nel coordinamento dell’offerta per il mercato crocieristico. Ma, ad oggi, non s’è fatto nulla».

La Sicilia

Gli scali siciliani (compresi nell’Adsp del Mar di Sicilia occidentale e in quella del Mar di Sicilia orientale), dal canto loro, patiscono le conseguenze di oltre 20 anni di paralisi, anche nella realizzazione di infrastrutture. Vi eè quindi, prosegue Duci, «la necessità di disporre di tempi e strumenti eccezionali per colmare il gap».

Venezia

Il porto di Venezia, invece, soffre per il prolungarsi dei tempi di decisione in merito al problema dell’ingresso della navi da crociera in laguna. Ora il Governo ha deciso che, dal 2019, le unità più grandi non passeranno più dal canale della Giudecca ma entreranno da Malamocco per Marghera. Intanto, però, Venezia ha perso 300mila passeggeri in un anno. «La verità - conclude Duci - è che mentre la governance dei porti è stata rinnovata, il funzionamento della macchina amministrativa non è stato oggetto di riforma, se non in senso peggiorativo».

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