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Permesso allo straniero convivente: il Consiglio di Stato boccia la Questura

Per ottenere il permesso di soggiorno basta provare l’esistenza di un solido e duraturo rapporto di convivenza e affetto di tipo familiare. Lo afferma il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5040/2017, che ha bocciato la resistenza della Questura di Brescia a concedere il rinnovo del permesso a una cittadina extracomunitaria perché il suo rapporto di lavoro come colf non produceva un reddito sufficiente secondo i parametri di legge. La stessa aveva però ampiamente dimostrato, con la stessa documentazione presentata in Questura, di essere convivente more uxorio con il cittadino che formalmente l’aveva assunta: quindi il rapporto di lavoro era evidentemente fittizio ma quello affettivo no.

Quindi, come ha evidenziato il Consiglio di Stato (sulla scia della sentenza della Cassazione 44182/2016), «nonostante la sostanziale natura fittizia del rapporto di collaborazione domestica, ma a fronte di un rapporto di convivenza evidente e dichiarato, la Questura avrebbe dovuto valutare, ai sensi dell’art. 5, comma 9, del d. lgs. n. 286 del 1998, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998».

Il Consiglio di Stato ha anche sottolineato, nella lunga e articolata motivazione, che «proprio in virtù della presenza di rapporti affettivi (di natura eterosessuale od omosessuale), l’eventuale applicazione di una misura di allontanamento o di diniego di un permesso di soggiorno è in grado, secondo la Corte di Strasburgo, di provocare un sacrificio sproporzionato del diritto alla vita privata e familiare per il soggetto portatore dell’interesse (Corte europea dei diritti dell'uomo, 4 dicembre 2012, ric. n. 31956/05, Hamidovic c. Italia, in particolare § 37)».

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5040/2017

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