Amministratori

Valutazione d'impatto ambientale, riordinato il riparto di competenze tra Stato e Regioni

di Omar Hagi Kassim

La Via è un procedimento amministrativo avente ad oggetto la valutazione complessiva, integrata e preventiva degli impatti significativi e negativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale di un determinato progetto. L’istituto affonda le proprie radici nei principi di prevenzione e di sviluppo sostenibile, costituendo espressione di un’importante fase evolutiva della disciplina ambientale. La Via ha rappresentato, infatti, uno dei primi strumenti posti a presidio dell’ambiente ad essere caratterizzato da un approccio non più meramente settoriale, bensì, unitario e complessivo.

Origini della disciplina
Come quasi sempre accade in materia ambientale, la fonte della disciplina (le cui origini si rinvengono nello statunitense NEPA del 1969 e successivamente nella legislazione francese su l'étude d'impact sur l'environnement del 1976) è la Comunità Europea che ne ha disposto l'introduzione tramite l'ormai risalente Direttiva 85/337/CEE, concernente la “valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati”. Tale Direttiva ha subito numerose modifiche e integrazioni negli anni successivi, fino alla Direttiva 2011/92/UE, che ne ha previsto l'abrogazione. Anche quest'ultima è stata oggetto di sostanziali modifiche ad opera della recente Direttiva 2014/52/UE.
A livello nazionale, invece, la disciplina in materia di VIA è stata inizialmente introdotta tramite la legge n. 349/1986 (istitutiva del Ministero dell'Ambiente), per poi confluire nel D.Lgs. n. 152/2006 (di seguito, TUA). Dall'originaria previsione del 2006, ha subito numerose modifiche (particolarmente sostanziosa quella del 2010), e, come vedremo, l'ultima riforma organica della disciplina è stata appena conclusa con il recepimento della Direttiva 2014/52/UE, tramite il nuovo decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, di riforma dell'istituto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 luglio 2017, n. 156.

Profili di criticità della formulazione precedente
Questo approfondimento, dunque, ha il privilegio (e l'onere) di essere scritto in una peculiare fase storica della valutazione di impatto ambientale, che assiste al tramonto della “vecchia” normativa e ai primi vagiti della nuova disciplina. Ciò comporta che l'esposizione non può prescindere dal descrivere la riforma in atto, ma non può neanche disinteressarsi della disciplina finora vigente.
A tal proposito, appare, in primo luogo, fondamentale evidenziare brevemente alcune fonti di criticità che hanno caratterizzato la materia e le norme che fino ad oggi l'hanno disciplinata. Tra di esse va citata l'eccessiva frammentazione e disomogeneità normativa tra le discipline regionali e quella statale (dovuta ad un'eccessiva autonomia attribuita alle Regioni), la presenza di incombenze procedimentali eccessive già in fasi antecedenti (come nella verifica di assoggettabilità), l'inefficacia del ruolo di accentramento decisionale che avrebbe dovuto caratterizzare il procedimento di VIA, e, infine, tra tutte la fonte principale di biasimo non può che individuarsi nell'assoluta sproporzione tra le tempistiche normativamente previste e quelle effettive.
La causa di tali inefficienze sembra dettata dalla natura poco “snella” delle fasi procedimentali, nonché dall'utilizzo particolarmente esteso dell'istituto delle prescrizioni, spesso risultante di un'intensa attività di contraddittorio con il proponente, che ha contribuito inevitabilmente alla dilazione delle tempistiche generali.
Nel decennio 2006-2016, infatti, su 423 provvedimenti di VIA statale presentati, 50 sono stati archiviati, 28 si sono conclusi con decisioni interlocutorie, e soltanto 17, cioè il 4% sono stati provvedimenti negativi. Tutti i rimanenti provvedimenti sono risultati positivi con prescrizioni. Ciò ha comportato che a fronte dei termini previsti espressamente dalle norme (150 giorni, dilazionabili al massimo fino al 390) la durata media di un procedimento di VIA statale è stata finora di circa 3 anni, con estremi che sono andati da un minimo di 300 giorni di durata, fino ad un massimo di addirittura 6 anni per la conclusione di un singolo procedimento.

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