Amministratori

Volantinaggio senza Scia e imposta di pubblicità

di Alberto Ceste

L'attività di distribuzione di materiale pubblicitario e commerciale sul territorio comunale è un'attività essenzialmente libera, così come la generalità dei servizi resi da privati, in base a quanto previsto dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010, di attuazione della cosiddetta direttiva Bolkestein. L'attività è tutelata dalle norme che proteggono e favoriscono l'iniziativa economica privata, individuabili particolarmente nell'articolo 41 della Costituzione e nell'articolo 1 comma 2 del decreto legge n. 1 del 24 gennaio 2012. Di conseguenza è illegittimo il regolamento comunale che imponga alla società interessata ad iniziare l'attività di distribuzione di volantini e depliant pubblicitari e/o commerciali la segnalazione della data d'inizio delle operazioni, dell'itinerario che sarà seguito e l'imposta pubblicitaria. Palese risulta infatti il suo contrasto con il principio cardine dell'ordinamento giuridico comunitario ed italiano sulla liberalizzazione economica.
Lo ha deciso il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sezione I, con la sentenza n. 708 del 9 giugno 2017.

Il caso
Una società operante nel campo del recapito porta a porta di posta pubblicitaria non indirizzata e delle affissioni pubblicitarie ha impugnato il regolamento di un Comune contenente norme limitative dell'iniziativa privata in materia di servizi di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti urbani e assimilati a servizi connessi, quali quelli forniti dalla ricorrente, in quanto prevedeva:
• la presentazione di una denuncia d'inizio di attività ed il conseguente ottenimento di un'autorizzazione e non una semplice segnalazione d'inizio attività;
• il preventivo pagamento dell'imposta comunale sulla pubblicità, equiparando in tal modo l'attività di volantinaggio stradale a quella “postalizzata” laddove, a giudizio della ricorrente, solo la prima potrebbe configurare il rischio di spargimento di materiale cartaceo pregiudizievole per il decoro e l'igiene urbani.

Il favore legislativo per il più ampio svolgimento dell'iniziativa economica
Sia l'articolo 10 del Dlgs n. 59 del 2010, sia l'articolo 1 comma 2 del Dl n. 1 del 2012, nel liberalizzare le attività commerciali, pur facendo salve le norme interne che comportano restrizioni e vincoli allo svolgimento dell'attività imprenditoriale privata, prevedono che tali limitazioni debbano essere:
• giustificate da un interesse generale costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario (quali, ad esempio, quello necessario ad evitare possibili danni all'ambiente, al paesaggio ed alla sicurezza urbana);
• proporzionate alle finalità pubbliche perseguite;
• giustificate e/o non discriminatorie;
• interpretate ed applicate in senso tassativo e restrittivo e, in caso di dubbio, in modo da consentire il più ampio svolgimento dell'iniziativa economica.

Illegittimi i poteri pubblici invasivi della sfera di libertà dei privati
Con la sentenza in rassegna il Collegio ha accolto il ricorso e per l'effetto ha annullato la norma regolamentare impugnata, ritenendo illegittimi gli obblighi imposti poiché in contrasto con le disposizioni legislative invocate dalla ricorrente e rispetto ad essa sovraordinate. A tale conclusione il Tar è giunto anche effettuando la cosiddetta “prova di resistenza”, verificando cioè se fosse possibile trovare una diversa giustificazione al regolamento comunale, specificatamente alla luce dell'articolo 8 comma 1 lettera h) del Dlgs n. 59 del 2010 per il quale l'Ente ha in astratto la facoltà di imporre restrizioni alle attività economiche ricorrendo motivi imperativi d'interesse generale, fra i quali, appunto, anche quelli afferenti alla tutela dell'ambiente e del decoro urbano.
Proprio però l'ampiezza del concetto di tutela del decoro urbano ed il potenziale pregiudizio che le misure limitative locali determinano a danno di rilevanti e diffusi interessi economici ha tuttavia indotto il Collegio a stabilire che le medesime sono legittime solo in “situazioni di reale e comprovato disagio collettivo”. Altrimenti, come nel caso esaminato, i Comuni possono operare “attraverso i normali poteri di vigilanza sul territorio per prevenire gli effetti indesiderabili del volantinaggio (maggiori rifiuti, intasamento delle cassette postali) e per sanzionare i singoli abusi”, anche perché “le norme ”in materia di distribuzione della pubblicità non costituiscono espressione di una bilanciata e contingentata applicazione dei poteri restrittivi della libera iniziativa economica ai limitati casi di reale ed accertata necessità: prova ne sia il carattere generale ed astratto con il quale vengono introdotti i divieti alla distribuzione del materiale pubblicitario”.

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