Amministratori

Legittimo cancellare dall'albo dei gestori ambientali la società a rischio di condizionamento mafioso

di Solveig Cogliani

Il Tar di Catanzaro, con l’ordinanza del 26 maggio 2017, n. 192, ha respinto la domanda incidentale di sospensione degli effetti di un provvedimento di interdittiva antimafia e della conseguente cancellazione di una società dall’Albo nazionale dei gestori ambientali, alla luce della peculiare struttura dell’organizzazione criminale «Ndrangheta», tradizionalmente incentrata nel suo nucleo primario basato sui rapporti familiari, sì da  giustificare il giudizio «più che probabile» di condizionamento mafioso, in ragione di elementi indiziari tratti dalla struttura familiare della società ricorrente e dai rapporti parentali tra elementi contigui alla consorteria criminale.

Il caso
Un’impresa ha presentato una domanda di sospensione della delibera dell'Albo nazionale gestori ambientali - Sezione regionale della Calabria - di cancellazione dall’Albo, determinata dal «valore sintomatico» riconosciuto al rapporto parentale tra l’Amministratore unico della società e alcune figure contigue all’organizzazione criminale «Ndrangheta».
Il Tar Catanzaro ha respinto l’istanza cautelare, con l’ordinanza in commento, affermando che non sussiste il fumus boni juris.

L’approfondimento: «il più probabile che non»
La giurisprudenza (si veda Consiglio di Stato, sentenze n. 565 del 2017 e n. 1743 del 2016) ha avuto modo, più volte, di precisare che gli elementi di inquinamento mafioso non costituiscono un numerus clausus, bensì assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento. Ne discende, tuttavia, che essi devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga all’Autorità e consenta al Giudice di verificare la ragionevolezza o la logicità dell’apprezzamento discrezionale.
In questo senso, si è ritenuto che  il criterio civilistico del «più probabile che non» sia contestualmente garanzia e strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati dell’esperienza, della valutazione prefettizia e che consenta  - attraverso fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario – di pervenire alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica differente rispetto alle esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza.
Siffatte considerazioni, peraltro, rendono la prevenzione amministrativa antimafia non in contrasto con il principio della «presunzione di non colpevolezza», di cui all’articolo 27 Cost. , comma 2, e con i principi desunti dalla giurisprudenza di Strasburgo dall’articolo 6 Cedu.

I rapporti di parentela
Con riguardo, specificamente, alla rilevanza del rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata, la prevalente Giurisprudenza (si veda Tar, Reggio Calabria, n. 1124 del 2016; Consiglio di Stato, Sezione III, n. 118 de 2015) è orientata nel senso che il mero rapporto di parentela, in assenza di ulteriori elementi, non sia di per sé idoneo a dare conto del tentativo di infiltrazione, in quanto non può ritenersi un vero e proprio automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell'impresa, che deponga nel senso di un'attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi. Tuttavia, tali considerazioni debbono essere coniugate con l’osservazione di particolari contesti socio-geografici, nei quali peculiari costumanze sociali, abitudini di vita, diffuse e culturalmente radicate consuetudini familistiche, impongono di apprezzare il vincolo parentale – ed i condizionamenti che da esso derivano – in un’ottica affatto peculiare.

Conclusioni
Sicché il contesto familiare e socio-ambientale può costituire un valido indice di rilevamento della permeabilità mafiosa di un’impresa qualora i soggetti controllati condividono l'ambito finanziario dei rapporti (si veda anche Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza n. 1743 del 2016).

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