Amministratori

All’azienda sanitaria solo compiti di prevenzione del randagismo

di Federico Gavioli

È il Comune e non l'azienda sanitaria che risponde dei danni nei confronti di una minore aggredita da due cani senza padrone: la Corte di cassazione con la sentenza n.12495/2017, ha condannato un Comune al risarcimento dei danni subiti dai propri concittadini a seguito del fenomeno del randagismo presente nel suo territorio (si veda anche il Quotidiano degli enti locali e della pa del 1° giugno 2017).

Il caso
Due genitori in rappresentanza della figlia minore avevano chiamato in giudizio il Comune e l'Azienda sanitaria territorialmente competente ai fini del risarcimento dei danni subiti dalla figlia, aggredita e ferita da due cani randagi. La domanda era stata accolta dal Tribunale , che aveva condannato sia il Comune , sia la Asl al pagamento dell'importo di 5.680,97 euro. La Corte d’appello ha confermato la decisione di primo grado.

L'analisi della Cassazione
I giudici di legittimità osservano che l'Asl, divenuta in seguito Asp, è ricorsa in Cassazione denunziando l'errata interpretazione della normativa vigente in materia.
Per la Cassazione tale motivo è fondato. L'Azienda ricorrente denunzia la violazione dell'articolo 14 della legge della Regione Sicilia 3 luglio 2000 n. 15 (attuativa della legge quadro nazionale 14 agosto 1991 n. 281), che attribuisce ai Comuni (singoli o associati, eventualmente in convenzione con enti, privati o associazioni protezionistiche) il servizio di cattura dei cani randagi e il loro affidamento ai rifugi sanitari pubblici (che gli stessi Comuni hanno l'obbligo di ristrutturare o realizzare) o privati convenzionati (con previsione di espresso divieto, per chiunque non sia addetto al servizio, di procedere alla cattura dei cani randagi).
L'Asp ricorrente ritiene che, poiché - in base alle disposizioni normative richiamate - a essa sono affidati esclusivamente compiti specialistici di natura sanitaria (peraltro a suo dire correttamente adempiuti), e non la cattura e la custodia dei cani randagi e vaganti, non potrebbe configurarsi una sua diretta responsabilità per i danni causati alla popolazione da tali animali. I giudici del merito di secondo grado hanno, invece, affermato la responsabilità in base all'articolo 18 della citata legge regionale 15/2000, che attribuisce alla competenza della Asl gli interventi relativi al controllo delle nascite della popolazione felina e canina. Secondo la loro interpretazione dalla lettura della normativa regionale c'è una generale competenza dell'Asp, unitamente al Comune, in ordine alla prevenzione del randagismo, e quindi la responsabilità solidale dei due enti per i danni causati dai cani randagi. Per i giudici di legittimità la responsabilità per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all'ente, o agli enti, cui è attribuito dalla legge (e, in particolare, dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale 281/1991) il compito di prevenire il pericolo specifico per l'incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi. L'attribuzione per legge a uno o più determinati enti pubblici del compito della cattura e della custodia degli animali vaganti o randagi (e cioè liberi e privi di proprietario) può infatti considerarsi il fondamento della responsabilità per i danni eventualmente arrecati alla popolazione dagli animali suddetti, anche sotto l'aspetto della responsabilità civile.

La scriminante per la Asp
Per i giudici di legittimità non può, invece, ritenersi sufficiente, a tal fine, l'attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, e a maggior ragione di semplici compiti di controllo delle nascite della popolazione canina e felina. Tali ultime competenze, in particolare, non possono ritenersi direttamente riferibili alla prevenzione dello specifico rischio per l'incolumità della popolazione derivante dall’eventuale pericolosità degli animali randagi, e non possono quindi fondare una responsabilità civile per i danni da questi ultimi arrecati, avendo ad oggetto il solo controllo “numerico” della popolazione canina, a fini di igiene e profilassi e, al più, una sola generica e indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo. La Cassazione evidenzia che a seguito del fatto che la legge quadro statale 281/1991 non indica direttamente a quale ente spetti il compito di cattura e custodia dei cani randagi, ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, occorre analizzare la normativa regionale, caso per caso. Nel fattispecie in esame , la Regione Sicilia prevede che il compito di cattura dei randagi e di custodia degli stessi nelle apposite strutture sia attribuito esclusivamente ai Comuni, mentre alla Asl siano attribuiti semplici compiti di generale controllo della popolazione canina (ma senza alcuna competenza in relazione alla cattura e custodia di tali animali); per la Cassazione deve escludersi una responsabilità della Asl e affermarsi solo quella del Comune, per i danni causati dai cani randagi alla popolazione.

Le conclusioni
I giudici di legittimità evidenziano , come emerge dalla stessa motivazione della sentenza impugnata che un veterinario della Asl, due giorni prima dei fatti contestati, era intervenuto nella zona, essendo stata segnalata la presenza di cani randagi potenzialmente pericolosi, e aveva redatto un verbale in cui ne proponeva la cattura al Comune. Quindi, anche in concreto, risulta che effettivamente la Asl aveva posto in essere tutte le attività preventive che era legittimata a svolgere, nell'ambito delle proprie competenze, per evitare il danno. Per la Corte di cassazione il ricorso va pertanto accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con l'accoglimento dell'appello proposto dalla Asp e il rigetto della domanda proposta dall'attrice nei suoi confronti.

La sentenza della Corte di cassazione n. 12495/2017

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