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Open Fiber prende tempo sul project financing da 3,5 miliardi

Open Fiber procede con più cautela lungo il percorso dello sviluppo della posa della fibra ottica nel paese. La riflessione non ha un impatto diretto nel lavoro sul territorio e lo sviluppo dei cantieri, che continua. L’approccio sta evolvendo in termini di strategia di medio termine, anche alla luce dei cambiamenti legati agli esiti elettorali e alla conseguente strategia politica in merito alla necessità o meno di dare vita a rete unica per la fibra (assieme a quella di Tim) nel paese. Nell’immediato questa sensibilità si riflette nelle valutazioni in corso tra gli azionisti, Enel e Cdp, e nell’ambito del cda sulla sostenibilità finanziaria del modello di business. Dopo l’uscita dell’ex ad, Tommaso Pompei, il nuovo management guidato da Elisabetta Ripa (al suo posto in cda la Cdp ha nominato il proprio direttore generale, Fabrizio Palermo) ha rimesso mano al piano industriale, in accordo con gli azionisti: il precedente business plan 2017-26 - che prevedeva il cablaggio di 271 città nelle aree A e B e la copertura di 6.753 comuni nelle aree a fallimento di mercato - è stato ricalibrato con un approccio più prudenziale. Un primo passaggio in cda del nuovo progetto di sviluppo è già avvenuto nelle scorse settimane. E in quella occasione si è aperta una riflessione in consiglio sulle modalità di finanziamento del piano.

Le risorse di cui dispone Open Fiber (dopo l’aumento di capitale da oltre 700 milioni eseguito nel 2016 per finanziare l’acquisto di Metroweb) sono un finanziamento bridge da 510 milioni concesso la scorsa estate da Bnp Paribas, Société Generale e Unicredit. Nel corso dello scorso anno, poi, la società aveva ottenuto anche un prestito-soci da 500 milioni, il cui utilizzo sarebbe ormai esaurito. In prospettiva erano previsto il lancio di un project financing da 3,5 miliardi (di cui i 510 milioni costituiscono un anticipo)e un finanziamento di 500 milioni che la Bei deve ancora deliberare. Il dibattito ora ruota attorno alla necessità di convertire il prestito soci in capitale e di ottenere un nuovo apporto da parte degli azionisti con un importo da definire, ma in ogni caso nell’ordine di alcune centinaia di milioni di euro. Va ricordato che il progetto di business di Open Fiber sin dall’inizio prevedeva un impegno di termini di equity da parte degli azionisti nella misura del 30% e il resto da finanziare a debito.

Il punto è che sulla parte del debito si sono aperti dubbi sull’opportunità di andare avanti con il progetto di project financing, una forma di finanziamento a lungo termine proprio per consentire agli investitori di essere ripagati con i flussi di cassa generati della società. Non serve un fine osservatore politico per notare che in questi giorni il lungo termine costituisca una grandezza con la quale è difficile cimentarsi. Soprattutto se le forze politiche che si sono affermate, come M5S, si sono dichiarate a favore di una società unica per la fibra. Una linea sulla quale concordano anche esponenti di Forza Italia, mentre il governo uscente ha cercato di spingere Tim quantomeno ad un inizio di scorporo della rete. Il presidente di Cdp, Claudio Costamagna, per quanto in scadenza, aveva comunque reso pubblica la disponibilità di rilevare il controllo della rete di Tim, in quanto operazione coerente con la strategia della Cassa. Il tema della sostenibilità del progetto di business di OF, in ogni caso, anche alla luce della ricalibratura dei target, non è irrilevante, soprattutto se le banche chiedono garanzie precise sulla continuità dei flussi di cassa nel ripagare un investimento. L’insieme di questi fattori sta facendo prendere in considerazione l’ipotesi di limitarsi ad ampliare il finanziamento bancario, senza impegnarsi nel project. Il piano industriale dovrebbe andare all’approvazione del board a fine mese o inizio aprile.

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