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Arte e ambiente, l’anno zero nella cura del territorio italiano

Si sa degli ecomostri sparsi in più parti della Penisola, si conoscono gli altri abusi meno scenografici ma altrettanto devastanti che il paesaggio ha dovuto subire nel corso degli anni, si è consapevoli che il territorio italiano è bellissimo e fa tutt’uno con l’estro e il genio che in giro per il mondo è ribattezzato come made in Italy. Di tutto ciò si ha contezza, ma mai si era tentato di avere una visione d’insieme dei luoghi in cui viviamo, di quale sia il loro stato effettivo, delle insidie che li minacciano e di quali interventi sia necessario mettere in atto per salvarli dal continuo degrado.

Il rapporto Istat-Ispra
Una lacuna ben evidenziata dalla frammentarietà dei dati statistici a disposizione e alla quale si è voluto porre rimedio chiamando l’Istat e l’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) a mettere insieme le forze per disegnare una prima mappa dello stato del paesaggio italiano. Coordinato dall’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio del ministero dei Beni culturali, il lavoro dei due Istituti ha preso forma nel primo rapporto sulle politiche del paesaggio, documento che sarà presentato a Palazzo Altemps a Roma dove oggi e domani si terranno gli Stati generali del paesaggio.
Il rapporto intende rappresentare il punto di partenza di un nuovo modo di guardare alla gestione del territorio, forte anche delle rappresentazioni statistiche che, per quanto da affinare, dicono molto sulla salute dei nostri luoghi.

Suolo e abusi
Sappiamo così che l’Italia ha consumato e continua a consumare il proprio suolo: si è passati dal 2,7% degli anni Cinquanta al 7,6% del 2016. Tradotto in termini assoluti, oltre 23mila chilometri quadrati della Penisola sono coperti da edifici, reti di trasporto, cemento, asfalto. Un incedere incalzante che negli anni Duemila portava a coprire otto metri quadrati di territorio al secondo. Il ritmo è poi rallentato, scendendo a 4 metri al secondo tra il 2013 e il 2015 e a 3 metri al secondo l’anno scorso. Il consumo, tuttavia, continua e quel che è peggio spesso senza criterio - emblematico il fatto che ci si è “mangiati” un quarto della superficie costiera entro i trecento metri dal mare, quella in fascia protetta - quando non in maniera abusiva.
D’altra parte da noi l’abusivismo ha una diffusione con pochi riscontri nel resto dell’Europa: nel 2015 per ogni 100 abitazioni autorizzate, altre 20 erano senza permesso. Un fenomeno che non risparmia le aree vincolate: il censimento edilizio del 2011 ha evidenziato che prima della legge Galasso del 1985, che ha rafforzato le tutele del territorio, la densità media per chilometro quadrato di edifici abusivi in zone protette era del 22,9, mentre dopo è salita al 29,8.

Aree tutelate e controlli preventivi
Anche quando si rientra nell’alveo della legalità, sulle aree tutelate resta comunque il problema dei controlli preventivi. Negli ultimi anni le soprintendenze per il paesaggio hanno ricevuto una media di 130mila pratiche di autorizzazione paesaggistica, sulle quali sono chiamate a esprimere un parere vincolante. In più del 20% dei casi quel parere non è stato espresso. Spesso perché nelle soprintendenze, per effetto del blocco del turn over, non ci sono abbastanza architetti: dovrebbero essere 416 e invece in servizio ce ne sono 284, il 40% dei quali over 60. In più, c’è da considerare che quelli in servizio - che devono gestire una media di 457 autorizzazioni l’anno - devono fare anche altro (per esempio, progettare e dirigere i restauri). Una boccata d’ossigeno dovrebbe arrivare dal concorso per 500 funzionari - tra cui 130 architetti - indetto dal ministero dei Beni culturali e che ora, ricorsi permettendo, sono in fase di nomina.
Si scommette molto, inoltre, sulla pianificazione paesaggistica, che ministero e Regioni stanno portando avanti da anni. Si tratta di un lavoro di collaborazione che, però, solo in alcune Regioni ha per ora visto il traguardo. I criteri individuati dal piano dovrebbero, poi, essere trasfusi nei piani urbanistici dei comuni, funzionando così da strumento preventivo nel governo del territorio. È da qui che il paesaggio, che da oggi ha maggiore consapevolezza di sé, prova a ripartire.

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