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A numero chiuso quattro corsi su dieci

Più aperti verso l’estero, ma al tempo stesso più selettivi all’ingresso. Due facce della stessa medaglia, che tratteggiano l’identikit dei 4.800 corsi di laurea che partiranno a settembre negli atenei italiani, con 150 new entry rispetto all’anno accademico in corso.
In uno scenario di fondo in cui si muovono ancora poche matricole (poco più di 260mila) e con tassi di abbandoni elevati(il 24,7% a tre anni dall’iscrizione), le università provano a rilanciare guardando soprattutto oltreconfine.

Doppi titoli e numero chiuso

Cresce l’offerta dei double degree, percorsi che conducono a titoli riconosciuti in Italia e in uno o più Stati stranieri: sono 588 in 61 poli, quasi raddoppiati rispetto al 2011/2012. I vantaggi sembrano ripagare l’investimento fatto: le esperienze di studio all’estero svolte durante gli anni dell’università sono carte vincenti per entrare nel mondo del lavoro. L’ultimo rapporto del consorzio AlmaLaurea evidenzia che studiare fuori dall’Italia aumenta le chance occupazionali del 12% e, a parità di condizioni, non solo non comporta ritardi nella conclusione del percorso universitario, ma influenza positivamente la probabilità di ottenere un voto brillante.
L’altra faccia della medaglia è la crescita delle barriere all’ingresso: a prevederle è la quasi totalità degli atenei (pubblici e privati), 74 su 78, mentre i corsi con la prova iniziale sono circa duemila, oltre il 40% del totale (un anno fa pesavano per il 39%).

Il numero chiuso debutterà a settembre anche per alcune facoltà di area umanistica: per la Statale di Milano, per esempio, il Senato accademico ha approvato, tra le polemiche, l’introduzione del numero chiuso per lettere, lingue, beni culturali, storia, geografia e filosofia. Su 79 corsi tra ciclo unico e triennali, fanno sapere dall’ateneo meneghino, 75 sono a numero programmato. Restano fuori: matematica e fisica, che però del prossimo anno avranno un test di autovalutazione, geologia e scienze e tecnologie applicate ai beni culturali.
«Abbiamo introdotto il numero programmato per adeguare i nostri corsi alle norme del Ministero sul rapporto docenti studenti - commenta il prorettore alla didattica Giuseppe De Luca -, ma anche per migliorare l’efficacia e la regolarità didattica. I dati parlano chiaro: nei corsi di area socio economica, solo per fare un esempio, il numero programmato introdotto negli ultimi anni ha abbattuto gli abbandoni (passati dal 28% quasi a zero), raddoppiando la percentuale di crediti acquisiti dopo il I e il II anno».
In questi anni sono aumentati anche le facoltà e i dipartimenti di area economico-statistica, scientifica e tecnica che hanno deciso in autonomia di fissare test d’ingresso iniziali, selettivi o di semplice orientamento per gli studenti. Fissato a livello nazionale, invece, è il numero di ingressi a medicina e odontoiatria, professioni sanitarie, veterinaria e architettura, con i test che si svolgeranno a settembre.

Barriere più alte nelle private

Tra gli atenei che registrano il 100% di corsi a numero chiuso emergono quelli non statali, dallo Iulm alla Luiss, dalla Bocconi alla Libera Università di Bolzano.
«Se l’obiettivo è la qualità il numero chiuso potremmo definirlo un male necessario - spiega Gianmario Verona, rettore della Bocconi -. Poter programmare e selezionare il numero degli studenti è una delle condizioni per garantire infatti qualità della didattica, del servizio e quindi dei laureati. La scelta di adottare il numero chiuso deve però esere sempre accompagnata dalla promozione del merito e dalla garanzia dell’accesso al diritto allo studio».

Al Politecnico di Milano il 65% dei corsi prevede il test iniziale. «Per competere a livello internazionale e per mantenere un’elevata qualità della didattica serve ridurre il rapporto tra studenti e docenti - sottolinea il rettore Ferruccio Resta -. Ciò è possibile diminuendo il numero di studenti o investendo in docenti, ricercatori, spazi e laboratori. A mio parere la scelta tra queste due soluzioni è una responsabilità politica».

Università a porte sempre più strette anche all’Alma Mater di Bologna, dove le lauree a numero chiuso supereranno quest’anno la soglia di cento, con nuovi sbarramenti a scienze politiche e statistica. E così un corso su due sarà ad accesso limitato.

Restano invece prevalentemente aperti a tutti gran parte dei corsi di alcuni altri atenei statali come l’università di Torino, quella di Pisa e La Sapienza di Roma.

Terreno da recuperare

Ricette diverse, con un unico obiettivo: recuperare terreno, rispetto alle medie europee, per numero di laureati (il 26%, tra chi ha tra i 30 e i 34 anni, contro un 33% della Germania e un 40% della Spagna), ma anche nelle performance sul mercato del lavoro.
Il tasso di occupazione dei nostri laureati tra i 25 e i 34 anni è al 64,6%, ma siamo fanalino di coda rispetto agli altri big del vecchio continente, con quasi 20 punti di gap sulla media Ue, superati anche dalla Spagna. Inoltre, mentre in quasi tutti i Paesi il tasso di occupazione dei laureati è aumentato negli ultimi 5 anni in Italia è calato di 2,5 punti, testimoniando le difficoltà occupazionali che anche i non più giovanissimi laureati hanno nel trovare un’occupazione.

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