Personale

Licenziamento nullo se l’iter è sbagliato

di Vincenzo Giannotti

È nullo il licenziamento di un dipendente pubblico che, nel procedimento disciplinare, non abbia avuto le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori del diritto alla difesa; la nullità si verifica nonostante l'interessato abbia fornito un'autocertificazione non veritiera al momento dell'assunzione, sostenendo di non svolgere altro lavoro o professione, mentre era dipendente a tempo indeterminato presso altro ente pubblico.
Le indicazioni arrivano dalla sentenza n. 13667/2018 della Cassazione.

La vicenda
Il caso riguarda un incarico dirigenziale a tempo determinato (articolo 19, comma 6 del Dlgs 165/2001) come responsabile degli affari legali. A causa di un esposto anonimo su presunte incompatibilità, l'ente ha invitato il dirigente, entro un termine perentorio, a fornire chiarimenti precisando che si era in presenza di un rapporto fiduciario ed eventuali incompatibilità con altri lavori pubblici o professionali avrebbero comportato una violazione rilevante al codice di comportamento nonché specifica responsabilità dirigenziale, in base all'articolo 21 del Dlgs 165/2001, con possibile risoluzione del rapporto di lavoro. In mancanza di risposte entro il termine fornito, avendo nel frattempo l'ente acquisito la prova del contemporaneo impiego a tempo indeterminato presso un’altra Pa, il dirigente è stato licenziato. La Corte d’appello, in riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, ha dichiarato il licenziamento nullo in quanto effettuato in violazione delle garanzie di difesa dettate oltre che dal contratto di settore anche dall'articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori che obbliga la Pa alla preventiva contestazione disciplinare e, solo successivamente, dopo aver sentito il dipendente a discolpa, può comminare l'eventuale risoluzione contrattuale. Secondo il giudice di appello, la missiva inviata al dipendente, non conteneva in nessuna parte in modo chiaro espressioni tali da far comprendere al destinatario l'intenzione della Pa di ritenere i fatti rilevanti disciplinarmente, tali da consentirgli l'esercizio del diritto di difesa.
In considerazione della incompatibilità accertata, cui si aggiunge la falsa autocertificazione rilasciata dal dipendente al momento dell'assunzione di non aver altri rapporti di lavoro o esercizio di attività professionali, l'Amministrazione è ricorsa in Cassazione.

Le indicazioni della Suprema Corte
I giudici di Piazza Cavour hanno confermato le conclusioni dei giudici di appello, in quanto nella lettera inviata al dirigente emergeva la sola necessità di una sua dichiarazione scritta sulla vicenda delle incompatibilità e non vi era traccia di specifiche contestazioni. Inoltre, in violazione dello stesso Statuto dei lavoratori e del contratto nazionale, il lavoratore non è stato chiamato per essere sentito a sua difesa, né gli è stata offerta la possibilità di farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale o da un legale di fiducia. D'altra parte, precisa la Cassazione, l'accertamento dell'incompatibilità è avvenuto solo successivamente, avendo l'ente acquisito la prova del suo rapporto a tempo indeterminato presso altra Pa, rendendo di fatto inconciliabile la lettera di richiesta delle dichiarazioni da rendere rispetto alla specifica contestazione del rapporto di lavoro, in violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare.
Infine, è stata dichiarata inammissibile l'ipotesi di decadenza automatica (articolo 75 del Dpr 445/2000) per dichiarazioni non veritiere rese dal dirigente sia in sede di sottoscrizione del contratto di lavoro a tempo determinato, sia in risposta alla nota dell'ente sulle presunte incompatibilità, trattandosi di un fatto nuovo non prospettato in modo rituale nei precedenti gradi di giudizio.

La sentenza della Corte di cassazione n. 13667/2018

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