Personale

Ok al trasferimento per «104» anche se altri familiari possono occuparsi del disabile

di Domenico Irollo

Il datore di lavoro non può sindacare gli accordi tra familiari per negare il trasferimento richiesto da un proprio dipendente che deve assistere un parente affetto da disabilità “grave” certificata secondo la legge 104/1992. Lo ha stabilito la sezione distaccata di Brescia del Tar Lombardia con l'ordinanza n. 204/2018 che ha accolto l'istanza cautelare proposta da un agente della polizia di Stato in servizio presso la questura di Brescia.

Il caso
L'agente aveva proposto ricorso al Tar per ottenere l'annullamento del provvedimento con il quale l'amministrazione degli interni gli aveva rifiutato il trasferimento, richiesto in base all'articolo 33, comma 5, della legge 104/1992, per poter prendersi cura del genitore invalido residente in provincia di Catanzaro.
La norma stabilisce difatti che il lavoratore che assiste un parente o affine entro il secondo grado (o anche entro il terzo grado, a determinate condizioni), portatore di handicap «in situazione di gravità» ha diritto a scegliere, «ove possibile», la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso.
Oltre che per ragioni di servizio, il Viminale aveva motivato il proprio diniego evidenziando che due sorelle dell'agente, entrambe residenti in Calabria, erano già nelle condizioni di poter badare al padre.

La decisione
Il Tar bresciano ha però ritenuto che questa obiezione era inconferente al fine di stabilire se c'era una reale necessità che il dipendente si trasferisse definitivamente. I giudici hanno osservato che la teorica possibilità che il lavoratore potesse alternarsi con altri familiari nei compiti assistenziali non era un elemento ostativo ai fini dell'accoglimento di una domanda di trasferimento coperta dalla «104».
Al contrario, una volta ricevuta la prova della situazione di invalidità grave del congiunto, l'Amministrazione può formulare valutazioni discrezionali solo sulla propria organizzazione interna per stabilire se il trasferimento del dipendente sia appunto “possibile”, ovvero se sia utile alla sede di destinazione, e soprattutto se possa provocare disservizi presso la sede di appartenenza.
Sotto quest'ultimo profilo, dall'istruttoria processuale risultava invero che la Questura di Brescia, sede di appartenenza, aveva un eccesso di risorse nella stessa qualifica del ricorrente, sebbene la sua situazione organica complessiva fosse invece deficitaria considerando la carenza di altre figure professionali, che comunque non potevano ritenersi interscambiabili. Il Collegio ha quindi ordinato al ministero, in attesa della trattazione del merito della causa, di riesaminare in via cautelare la domanda del ricorrente attenendosi ai principi esposti sopra, nel caso spiegando le criticità che rendevano in concreto la richiesta del dipendente incompatibile con le proprie esigenze organizzative e di efficienza operativa.

L'orientamento
Si sottolinea che, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 183/2010, all'articolo 33, della legge 104/1992, che hanno comportato l'eliminazione dei requisiti della “continuità” ed “esclusività” dell'assistenza (requisito, quest'ultimo, ricollegato alla indisponibilità oggettiva e soggettiva di altre persone in grado di sopperire alle esigenze assistenziali), la giurisprudenza abbia in parte mantenuto l'orientamento che all'amministrazione sia comunque in qualche modo permesso di valutare la situazione sanitaria presentata dal richiedente relativa al parente da assistere, nonché la presenza di altri familiari.
Questo non tanto per accertare la sussistenza del requisito della “esclusività” ormai “cassato”, ma per una ponderazione comparativa degli interessi coinvolti per accertare l'effettiva necessità del beneficio, al fine di impedire un uso strumentale ed eventualmente opportunistico della normativa a tutela dei disabili gravi (parere del Consiglio di Stato n. 897/2014).

L’ordinanza del Tar Lombardia sezione di Brescia n. 204/2018

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