Beni culturali, pensioni ferme per la riforma non registrata
Si potrebbero definire gli “esodati” dei Beni culturali. Sono i dipendenti di via del Collegio Romano andati in pensione quest’anno, ma la cui posizione è sospesa. Qui non c’entra il rinvio delle data di quiescenza ad opera di norme dell’ultima ora. L’assegno non è in discussione, ma la pratica è rimasta incagliata tra vecchie procedure burocratiche e nuove applicazioni informatiche.
È, infatti, accaduto che, dopo la riforma Franceschini dei Beni culturali - con la riorganizzazione delle soprintendenze, la nascita dei musei autonomi e dei poli museali regionali -, la nuova geografia non sia mai stata “recepita” dal ministero dell’Economia. E così i dipendenti che, per esempio, sono transitati dalla soprintendenza al polo regionale, per l’Economia continuano a essere in servizio nel vecchio posto di lavoro. Non c’è, in altre parole, allineamento tra il codice del dipendente e quello della struttura presso cui svolge le mansioni.
Finora i problemi - che nascono in particolare quando un dipendente chiede di andare in pensione - sono stati risolti grazie alla “malleabilità” dell’applicazione informatica che l’Inps utilizza in questi casi. Da inizio anno, però, quel software è cambiato e per il disbrigo delle pratiche di pensione si è passati a Passweb, un’applicazione più rigida, che non consente “aggiramenti”. Da quel momento la domanda di pensione di chi in questi ultimi anni ha cambiato struttura o si trova a lavorare in un posto che, dopo la riforma, ha assunto una nuova denominazione, non viene immediatamente riconosciuta dall’Inps. Con ritardi nel disbrigo della pratica.
Nei giorni scorsi Beni culturali, Economia e Inps si sono incontrati per correre ai ripari. La soluzione individuata è un ritorno al passato: si ripristinerà la vecchia applicazione Inps in attesa che l’Economia aggiorni la mappa del personale dei Beni culturali. Passweb, per ora, può attendere.
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