Personale

Segretari, dalla Cassazione stop definitivo alla retribuzione «maggiorata» post galleggiamento

di Vincenzo Giannotti

Con la sentenza 5284/2018, la Cassazione chiude definitivamente sulla legittimità della maggiorazione della retribuzione di posizione dei segretari generali applicata dopo il galleggiamento. La questione è complessa, al punto che dopo diverse sentenze dei giudici del lavoro che avevano dato ragione ai segretari, era dovuto intervenire il legislatore con l’articolo 4, comma 26, della legge 183/2011 per chiarire che la maggiorazione andava applicata prima del riallineamento con lo stipendio del dirigente o funzionario con la retribuzione di posizione più elevata.

La questione controversa
I Segretari comunali e provinciali hanno dato inizio una controversia civilistica sulla corretta applicazione delle disposizioni del contratto nazionale (articolo 41, comma 5, del contratto del 16 maggio 2001) e di quello integrativo n.2 del 22 dicembre 2003, secondo cui nel calcolo della retribuzione di posizione l'allineamento all'indennità percepita dal dirigente con funzione più elevata, previsto dall’articolo 41, comma 5, rappresenta la base a cui aggiungere la maggiorazione prevista al comma 4 (fino al 50% in più in caso di funzioni gestionali aggiuntive). A sostegno della tesi, era stato evidenziato come, se le maggiorazioni stipendiali fossero assorbite dal riallineamento, verrebbero penalizzati i segretari più gravati di compiti; il tutto in violazione del principio di corrispettività, in virtù del quale gli incarichi ulteriori rispetto a quelli istituzionali devono avere una propria remunerazione. Per esempio, se la la retribuzione di posizione del segretario è pari a 30, mentre quella del dirigente con la retribuzione più elevata è di 40, allora:
a) nel caso di maggiorazione dopo il galleggiamento, spetterebbe al segretario, cui siano stati affidati compiti gestionali aggiuntivi, una retribuzione di posizione pari a 60 (40 x 1,5 = 60); b) in caso di assorbimento della maggiorazione nel galleggiamento, si avrebbe una retribuzione di posizione pari a 45 (30 x 1,5), mentre nel solo caso in cui la maggiorazione sia inferiore alla retribuzione del dirigente, allora troverebbe ragione il riallineamento a quest'ultima (esempio dirigente con retribuzione pari a 50 maggiore della maggiorazione di 45).

La posizione della Suprema Corte
Secondo la Suprema Corte, l’articolo 41, comma 4, nell'attribuire alle parti la facoltà di maggiorare i compensi del segretario, si limita a richiamare esplicitamente i compensi indicati al precedente comma 3, secondo i valori economici riconosciuti da quella disposizione, senza nulla dire del comma 5 che contiene la clausola di riallineamento stipendiale. La maggiorazione prevista dal comma 4 si aggiunge dunque ai valori economici stabiliti dal comma 3 dell'articolo 41, fermo restando che entrambe le disposizioni (commi 3 e 4) riguardano la sola voce della retribuzione di posizione. Se, dunque, il riallineamento stipendiale (comma 5) ha una funzione perequativa, distinta da quella corrispettiva delle maggiorazioni (comma 4), è logico che alla perequazione si arrivi con riferimento alla retribuzione di posizione complessiva, comprendente anche le maggiorazioni previste dal comma 4. In definitiva, per la Cassazione, se con le maggiorazioni (comma 4) la retribuzione di posizione del segretario supera quella del dirigente apicale, allora non si potrà procedere con il riallineamento al dirigente con più elevata retribuzione di posizione (comma 5). E nemmeno l’impatto negativo sul sul piano previdenziale può condizionare la corretta interpretazione delle norme contrattuali.

La sentenza 5284/2018 della Cassazione

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