Personale

Contratti, arrivano le regole su malattia e permessi: prossima tappa le progressioni

di Gianni Trovati

Entra nel vivo la discussione sul rinnovo contrattuale di Regioni ed enti locali, ma per ora il confronto si concentra sugli argomenti più “semplici” relativi alla parte normativa. Sui tavoli ieri è finita una prima bozza, poco più di 20 pagine che in pratica si limitano a tradurre per il personale del comparto le materie già definite nel rinnovo contrattuale delle «funzioni centrali» (ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici).

Dai permessi al diritto allo studio
Entrano nel contratto, quindi, gli istituti come le ferie solidali, cioè la possibilità di cedere giorni di riposo ulteriori rispetto a quelli obbligatori a colleghi che ne hanno bisogno per esigenze di cura dei figli minori con problemi di salute, i permessi orari flessibili, l’estensione alle unioni civili dei congedi matrimoniali, e così via. Nel testo arrivano anche i congedi (fino a 90 giorni in tre anni) per le donne vittime di violenza, e le tutele aggiuntive nel caso di terapie salva-vita. Completano il quadro le 150 ore ore all’anno per il diritto allo studio e alla formazione.

Prossima tappa: le classificazioni professionali
Su questi punti la strada è piuttosto liscia, perché le decisioni assunte nell’accordo sugli statali sono destinate a essere replicate in modo sostanzialmente immutato negli altri comparti. Nel prossimo round negoziale si comincerà a entrare nel vivo di alcuni argomenti più delicati, perché richiedono adattamenti su misura delle amministrazioni territoriali: non sono attese sorprese sul codice disciplinare, terreno sul quale il nuovo contratto si limita di fatto ad accogliere le novità del decreto legislativo 75/2017, ma più puntuali dovranno essere gli adattamenti per quel che riguarda le classificazioni professionali, le posizioni organizzative e le progressioni economiche.

Le risorse da trovare
Ma sarà ovviamente il capitolo economico, cioè il punto successivo in agenda, a concentrare le attenzioni del confronto. I problemi sul punto non sono pochi, e partono dalla questione delle risorse. Un aumento del 3,48% delle retribuzioni complessive dovrebbe portare nelle tasche del dipendente-tipo 75 euro lordi al mese, ovviamente graduati in base ai vari livelli retributivi secondo l’impostazione lineare già seguita nella Pa centrale. Il costo per i bilanci locali si aggira intorno ai 650 milioni di euro all’anno, e questo rappresenta un primo problema perché la manovra, nonostante le molte richieste degli amministratori locali, non ha stanziato risorse aggiuntive.

Bonus Renzi a carico dei sindaci
Ma c’è di più: anche negli enti locali, e anzi a maggior ragione rispetto alla Pa centrale viste le medie retributive più leggere che si incontrano sul territorio, andrà messo in piedi l’«elemento perequativo», cioè il tassello aggiuntivo da 20-25 euro al mese che nel 2018 sosterrà le buste paga dei livelli più bassi, anche nel tentativo di evitare brutte sorprese per l’incrocio tra rinnovi contrattuali e bonus da 80 euro. Fuori dall’amministrazione centrale, però, questo significherebbe mettere a carico dei bilanci locali una quota della salvaguardia del bonus Renzi, ipotesi che fa storcere il naso agli amministratori.

Tempi lunghi
Per questi ultimi, e per i loro ragionieri, ci sarà poi il problema di far quadrare i conti, e di sbloccare le risorse accantonate (per obbligo di legge) negli anni scorsi superando i vincoli della riforma contabile. Ma la strada per arrivare a muovere davvero le macchine sembra ancora lunga, e appare difficile da raggiungere l’obiettivo di mettere i soldi nelle buste paga di marzo.

La bozza presentata ieri dall’Aran

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