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Prof di religione, l’ordinario diocesano decide sull’idoneità ma non sulla dotazione organica

Per valutare se un docente è idoneo o meno all'insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria è determinante l'indicazione dell'ordinario diocesano, che tuttavia non ha voce in capitolo ai fini dell'individuazione delle dotazioni organiche. Un compito che non rientra nelle competenze dell'autorità ecclesiastica ma è devoluto al dirigente dell'Ufficio scolastico regionale. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 343/2018, chiamata a intervenire sulla vicenda di un'insegnate siciliana di religione.

I fatti
La docente, dichiarata idonea all'insegnamento dalla diocesi di Mazzara del Vallo, non era stata poi assunta dalla scuola perché dei 21 posti di insegnante di religione concordati con la diocesi, l'ufficio scolastico regionale ne aveva ricoperti solo 11, perché sarebbe mancata l'intesa tra diocesi e Usr.
La donna aveva avuto “giustizia” dalla Corte di appello di Palermo che, in secondo grado, le aveva dato ragione sostenendo il diritto della donna ad essere immessa nel ruolo scolastico per l'insegnamento della religione e condannando il Miur a risarcirla per il danno subito «dal diniego di ammissione in ruolo».
Da qui il ricorso del Miur alla Suprema Corte.

La decisione
I giudici togati, tuttavia, hanno riconosciuto infondato il ricorso proposto dal Miur, sottolineando come già con la sentenza 2243 del 2005 la Cassazione si era espressa sull'argomento. «Con tale sentenza – scrivono i giudici – è stato affermato il principio secondo cui sono di esclusiva competenza dell'ordinario diocesano, non solo il riconoscimento dell'idoneità all'insegnamento (presupposto condizionante l'instaurazione del suddetto rapporto con il Miur), ed il potere di una sua revoca, ma anche la scelta delle concrete modalità dell'espletamento dell'attività didattica che, senza incidere sull'organizzazione della scuola pubblica, risultino volte alla migliore funzionalità dell'insegnamento stesso».
«Secondo il procedimento dettato dalla legge 198 del 2003 per l'accesso ai ruoli – prosegue la sentenza – il dirigente regionale approva l'elenco di coloro che hanno superato il concorso e invia all'ordinario diocesano competente per territorio i nominativi di coloro che si trovano in posizione utile per occupare i posti delle dotazioni organiche. L'indicazione dell'ordinario diocesano è determinante per quanto concerne la valutazione dell'idoneità, del docente indicato dal dirigente scolastico, mentre non rileva ai fini dell'individuazione delle dotazioni organiche, compito che esula dalle competenze dell'autorità ecclesiastica per essere devoluto, in via esclusiva al dirigente dell'ufficio scolastico regionale, il quale a norma dell'articolo 2, commi 2 e 3 della legge 198 del 2003, provvede con contratti di lavoro a tempo indeterminato alla copertura del 70 per cento dei posti funzionanti nel territorio di pertinenza di ciascuna diocesi».
La Suprema Corte, visto che il ricorso del Miur verteva esclusivamente sull'interpretazione del concetto di “intesa” tra Ufficio scolastico regionale e diocesi sia per quanto riguarda la valutazione di idoneità all'insegnamento del docente, sia per quanto riguarda la dotazione organica nel territorio, lo ha rigettato, condannando il ministero al pagamento delle spese legali.

La sentenza della Corte di cassazione n. 343/2018

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