Personale

Nuovo contratto, da #metoo al licenziamento del pubblico dipendente in caso di molestie

di Gabriele Fava

Come spesso accade nel nostro Paese, provvedimenti, anche di rilevante importanza, sono adottati in maniera estemporanea, sull'onda del caso passeggero, piuttosto che a seguito di un'attenta riflessione. Così, anche questa volta, il caso Weinstein e la slavina di #metoo che ne è seguita hanno fatto sì che il coro scomposto di cinguettii digitali si tramutasse in un intervento, non molto più ordinato, di politica sindacale della nostra Pa. Sia ben inteso, il problema esiste e non da oggi. L'Istat già nel 2008-2009 segnalava che circa la metà delle donne tra i 14 e i 65 anni hanno subito nell'arco della loro vita ricatti sessuali sul posto di lavoro o molestie in senso lato. Senza considerare, poi, vista la – purtroppo – diffusa paura di denunciare per non compromettere la propria posizione lavorativa, che tale dato potrebbe essere, in una certa misura, sottostimato. Temiamo, tuttavia, che l'approccio giustizialista al tema che pare emergere dai primi commenti alla revisione del contratto possa contribuire più a creare confusione e accrescere il contenzioso con gli impiegati pubblici, che a offrire una concreta ed efficace soluzione al problema.

Le nuove sanzioni
Il nuovo contratto prevede un severo inasprimento delle sanzioni collegate alle condotte in discussione. In particolare, è prevista la possibilità di sospendere (fino a un massimo di 6 mesi) il “molestatore” a seguito della prima contestazione; in caso di recidiva nell'arco di un biennio o «quando l'atto, il comportamento o la molestia rivestano carattere di particolare gravità» si potrà, invece, procederà immediatamente al licenziamento del pubblico dipendente accusato. Qualora, poi, la vittima non dovesse denunciare l'accaduto, ma il superiore fosse a conoscenza dei fatti, questi sarebbe parimenti sanzionabile (sospensione fino a 3 mesi) nel caso di mancata segnalazione.

Una difficile applicazione
Tuttavia, l'utilizzo pratico delle nuove sanzioni potrebbe essere particolarmente ridotto e, quindi, sostanzialmente poco utile a seconda di come, in concreto, si pensi di dare attuazione alle stesse. Laddove, ad esempio, la denuncia dovesse essere effettuata all'interno del medesimo ufficio, le ragioni di reticenza sopra accennate rimarrebbero, comunque, molto forti, specie ove il molestatore fosse proprio il superiore gerarchico. Sarà quindi assolutamente necessario prevedere delle misure di tutela per la dipendente che dovesse denunciare una molestia, oltre che un procedimento che garantisca la terzietà del soggetto incaricato di ricevere la segnalazione e procedere all'indagine disciplinare interna.

Forme di garanzia
Inoltre, sarà altrettanto importante stabilire delle forme di garanzia anche per l'accusato. Ciò non solo al fine di evitare un utilizzo distorto dello strumento (si pensi a ripicche personali o competizioni sul posto di lavoro), ma anche e soprattutto per evitare che procedimenti espulsivi eccessivamente affrettati siano, poi, giudicati come sproporzionati in sede giudiziale, con conseguenti costi a carico della collettività legati alla gestione del processo, somme risarcitorie o reintegrazioni presso la Pa in favore del dipendente frettolosamente licenziato.
Si attende, dunque, di verificare con maggiore dettaglio quale sia l'intero impianto dell'intervento del governo, sperando che si tratti di una misura concreta e ben ponderata e non, come si teme, un palliativo sbrigativamente aggiunto sull'onda dei fatti di cronaca, in concreto scarsamente utile, se non dannoso.

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