Personale

Induzione indebita per il funzionario candidato consigliere che si fa promettere voti minacciando sanzioni

di Andrea Alberto Moramarco

Commette il reato di induzione indebita il funzionario dell'Agenzia delle entrate che, prospettando una pesante sanzione a seguito di ispezione fiscale, sfrutti lo stato di soggezione del cittadino, al fine di ottenere una prestazione indebita a suo vantaggio. Ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 319-quater del codice penale, poi, non rileva il fatto che la sanzione da irrogare fosse effettivamente più lieve, ma solo lo stato di «sudditanza» del destinatario del controllo fiscale. È quanto emerge dalla sentenza n. 53117 della Cassazione, depositata ieri.

I fatti
La vicenda vede come protagonista un funzionario dell'Agenzia delle entrate, candidato alle elezioni per la nomina del consiglio comunale locale, il quale era accusato del reato di «Induzione indebita a dare o promettere utilità», per aver indotto il proprietario di un bar a promettergli il suo voto e quello dei suoi familiari alle imminenti elezioni comunali, al fine di evitare una sanzione fiscale per le presunte irregolarità riscontrate nel locale. In particolare, circa un mese prima delle consultazioni elettorali, il pubblico ufficiale-candidato aveva effettuato una verifica fiscale presso l'esercizio commerciale da cui era emersa una serie di irregolarità, prospettando una possibile sanzione di 100mila euro. Lo stesso funzionario era poi riuscito a far evitare il pagamento della sanzione in cambio della promessa dei voti.
Dinanzi ai giudici, il pubblico ufficiale si difendeva sostenendo che, in realtà, egli non aveva effettuato alcuna ispezione o verifica, ma semplicemente un accesso volto a verificare la congruità dei ricavi del bar con gli studi di settore e che, a ogni modo, al titolare del bar non poteva essere applicata una sanzione di 100mila euro per eventuali irregolarità. Sia Tribunale che Corte d'appello, tuttavia, ritenevano integrati gli estremi del reato di cui all'articolo 319-quater del codice penale sottolineando il fatto che il dipendente dell'Agenzia delle Entrate avesse «sfruttato in maniera insidiosa e subdola la sua qualità e i suoi poteri» di funzionario dell'ente fiscale.

La decisione
E lo stesso fa la Cassazione che conferma la condanna dichiarando inammissibile il ricorso, perché volto a ottenere un riesame nel merito della vicenda, non ammesso in sede di legittimità. La Corte sottolinea che dalle testimonianze rese in dibattimento e dalle intercettazioni emerge un chiaro quadro probatorio che non dà scampo al funzionario pubblico. Quest'ultimo, infatti, «abusando della sua qualità e dei suoi poteri all'interno dell'Agenzia delle Entrate, facendo inizialmente emergere una situazione negativa scaturente dal controllo da lui diretto e ventilando l'ipotesi di una soluzione bonaria in cambio di un sostegno elettorale», ha approfittato dello «stato di angoscia» del titolare del bar per l'eventuale sanzione fiscale, ottenendo così «la promessa, poi mantenuta, di voti in suo favore nelle imminenti elezioni comunali». E a nulla rileva il fatto che la sanzione concretamente applicabile per le irregolarità riscontrate fosse inferiore a quella prospettata dal funzionario: ciò che conta è lo stato di soggezione in cui si è venuto a trovare il proprietario dell'esercizio commerciale.

La sentenza della Corte di cassazione n. 53117/2017

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