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Il rinnovo dei contratti pubblici alza il bonus Renzi fino a 288 euro anche per i dipendenti privati

Dopo settimane di trattative sottotraccia e di ipotesi alternative, il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego si porta dietro un effetto collaterale positivo anche per i dipendenti del mondo privato: almeno per quelli che dichiarano qualcosa più di 24mila euro senza però superare i 26.500 euro di reddito lordo all’anno. Anche loro, infatti, potranno beneficiare dell’ampliamento del raggio d’azione del bonus Renzi, gli 80 euro netti al mese che hanno aumentato i soldi a disposizione dei lavoratori con redditi medio-bassi ma hanno complicato i calcoli dei rinnovi contrattuali.
Ma sul piano sostanziale è importante partire dalla fine. La legge di bilancio alza di 600 euro il livello iniziale e quello finale del «decalage», cioè la fascia in cui all’aumentare del reddito lordo dichiarato diminuisce l’importo del bonus a cui si ha diritto. Prima la discesa progressiva da 80 euro a zero partiva da 24mila euro e terminava a 26mila euro; dal 2018 l’aiuto comincerà ad alleggerirsi a partire dai redditi da 24.600 euro, e scomparirà da quota 26.600 euro.

Lo stato dei conti
Il miglioramento dei conti rispetto alla situazione attuale non è progressivo, perché dipende dall’incrocio fra vecchie e nuove regole. Le notizie migliori, come mostrano i dati pubblicati qui a fianco, arrivano per i lavoratori dipendenti che dichiarano fra 24.600 e 26mila euro, e che dal nuovo meccanismo otterranno 288 euro netti in più all’anno. Il beneficio prodotto dalla novità spuntata in extremis nel testo della legge di bilancio diminuisce ai lati di questa gobba, sia quando i redditi aumentano sia quando diminuiscono. In discesa, il saldo è positivo per 192 euro quando i guadagni si attestano a 24.400 euro, e si assottiglia progressivamente fino ad arrivare a 24mila euro: per i titolari di questi redditi il beneficio era pieno prima e rimane pieno ora, 960 euro all’anno, senza cambiamenti. La stessa parabola viene disegnata dai redditi più alti all’interno della fascia interessata: fra 26mila e 26.600 euro oggi il bonus non c’è, e debutterà l’anno prossimo.

Il rinnovo dei pubblico impiego
La novità, si diceva, è un effetto collaterale del rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Il motivo è semplice: i 1.105 euro lordi all’anno promessi dall’intesa del 30 novembre 2016, e nel caso della pubblica amministrazione centrale finanziati dalla legge di bilancio ora in discussione al Senato, avrebbero fatto uscire il bonus dalle buste paga di chi oggi lavora in un ufficio pubblico e guadagna da 24.895 euro in su, e l’avrebbero alleggerito per molti altri con redditi inferiori. Di qui l’idea di intervenire sulle fasce, che era comparsa qualche settimana fa prima di essere accantonata e ripescata in extremis.
Ad animare le discussioni governative sul tema è stato ovviamente un fatto di costi, che nella stima prudente scritta in relazione tecnica non vanno oltre i 210 milioni all’anno. Proprio la pubblica amministrazione, stando ai dati elaborati nelle scorse settimane dall’Aran, l’agenzia che rappresenta la Pa datore di lavoro, dovrebbe assorbirne la quota principale: la piramide schiacciata dei redditi che caratterizza il pubblico impiego, infatti, concentra circa 300mila persone nella fascia messa “a rischio” dagli aumenti contrattuali. Una clausola su misura dei soli dipendenti pubblici, però, sarebbe stata incostituzionale se scritta in legge, e avrebbe complicato parecchio la vita nelle trattative sugli altri settori se fosse stata affidata alla contrattazione.
L’ampliamento del bonus, in ogni caso, attenua ma non cancella l’effetto incrociato di aumenti contrattuali e decalage. Per chi oggi guadagna 25mila euro, per esempio, i nuovi contratti preparano un reddito post-accordo da 26.100, che dimezzerebbe il bonus da 480 a 240 all’anno. L’aumento netto intorno ai 60 euro (85 lordi) sarebbe quindi nei fatti ridotto di un terzo dalla perdita dei 20 euro di aiuto: il tema, quindi, è destinato a tornare sui tavoli contrattuali per completare l’opera.

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