Personale

Pubblico impiego privatizzato, al licenziamento non si applica l'articolo 18

di Aldo Monea

Il rapporto di lavoro tra un medico e una Asl si conclude, nell’ottobre del 2014, con la risoluzione per dispensa dal servizio del dipendente, data la riconosciuta permanente e totale impossibilità al lavoro dello stesso. Nonostante ciò, l’Azienda sanitaria, a conclusione di un iter disciplinare iniziato mesi prima della risoluzione, licenzia, successivamente, il sanitario per giusta causa in relazione a sentenza penale di condanna nei suoi confronti per corruzione. L’Asl, ritenendo di poter applicare l’articolo 1, comma 41, della legge n. 92 del 2012, fa decorrere il licenziamento dalla data della contestazione. Il dipendente presenta reclamo, in base all’articolo 1, commi 58 e seguenti, della legge n. 92/2012, chiedendo alla Corte d’appello competente la dichiarazione d’inefficacia del licenziamento e la condanna dell’Asl al pagamento dell'indennità di mancato preavviso.

Il giudizio di merito
Nell’esame della causa la Corte d’appello accerta che il procedimento disciplinare era stato avviato dall’azienda sanitaria locale il 12 agosto 2014, in seguito alla condanna penale per falso e corruzione, avvenuta del luglio 2014. Il procedimento si era concluso con il licenziamento senza preavviso, nel dicembre dello stesso anno. La Corte rileva anche che, nel periodo tra la contestazione e il licenziamento, il medico ha chiesto visita medica per motivi di salute e il dipendente è stato giudicato inidoneo, permanente e totale, ad ogni proficuo lavoro. Risulta anche che, perciò, l’Asl ha adottato, il 21 ottobre 2014, provvedimento di dispensa dal servizio e risoluzione del rapporto, sulla base degli articoli 7, comma 1, del Dm n. 187 del 1997 e 24 del Ccnl Dirigenti del pubblico impiego privatizzato, Area IV Dirigenza medica e veterinaria del 5 dicembre 1996.

La decisione di merito
Il Collegio, però, respinge il ricorso, ritenendo che il rapporto di lavoro fosse stato risolto con il licenziamento per giusta causa. Stabilisce, infatti, che il licenziamento, pur irrogato dopo la determinazione della dispensa dal servizio, doveva retroagire i suoi effetti all’agosto 2014, data della contestazione disciplinare, poiché al caso si applicava l’articolo 1, comma 41, della stessa legge n. 92/2012. È da ricordare, a margine della sentenza, che tale norma prevede che il licenziamento disciplinare di cui all'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 produca effetto dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento. Secondo la Corte, dunque, la contestazione disciplinare (comunicata il 9 agosto 2014) è il primo atto di risoluzione del rapporto di lavoro. Lo stesso Collegio, inoltre, dichiara l’insussistenza del diritto al pagamento dell'indennità di preavviso, spettante, solamente, in caso di risoluzione per dispensa dal servizio.

Il ricorso
L’interessato ricorre in Cassazione, sostenendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, comma 41, della legge n. 92/ 2012, perché la Corte d’appello ha omesso di considerare che l’Asl non aveva più il potere di recedere per giusta causa, essendo il rapporto risolto con la determina di dispensa dal servizio.

Il “ragionamento” della Corte
Per decidere sulla controversia, la Cassazione pone alcuni “punti fermi” interpretativi.
Le norme previste per l’impiego privato dalla legge n. 92/2012 (nei suoi commi 7 e 8 dell'articolo 1), non si estendono ai dipendenti delle Pa -
La Corte di legittimità chiarisce, innanzitutto, che le modifiche introdotte dalla legge n. 92/2012 all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, non si estendono ai dipendenti delle Pa fino all’armonizzazione della disciplina del pubblico impiego.
Le norme sull’impiego privato sono inconciliabili nella Pa -
Il rinvio fatto dal legislatore (articolo 1, comma 8, della legge 92) ad un intervento normativo successivo di armonizzazione evidenzia, secondo la sentenza in esame, l’inconciliabilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al Dlgs n. 165 del 2001. Il comma 8 prevede, infatti, che il ministro per la Pubblica amministrazione, sentite le organizzazioni sindacali, individui e definisca, mediante iniziative normative, ambiti, modalità e tempi di armonizzazione.
Le norme sul licenziamento illegittimo nella Pa restano quelle già vigenti -
Tale assetto normativo fa sì che la tutela, per i dipendenti pubblici, in caso di licenziamento illegittimo, è quella della previgente normativa, essendo incompatibile un automatico recepimento di quella legge con la natura della tutela del dipendente licenziato.
Anche la retroattività (comma 41 dell’articolo 1) non si applica -
Secondo la sentenza l’inconciliabilità della nuova disciplina con lo specifico regime imperativo dettato dagli articoli 54 e seguenti del Dlgs n. 165/2001 rende inapplicabile, al pubblico impiego, il comma 41 dell’articolo 1. Tale norma è riferita al solo articolo 7 della legge n. 300 del 1970 e non agli articoli 55 e 55-bis del Dlgs 165, per cui è vietata l'applicabilità di essa al pubblico impiego privatizzato: l’eccezionale applicazione a questo settore della novella normativa del 2012 opera per le disposizioni su cui la questione della applicabilità sia stata risolta in modo espresso dal legislatore. Ciò non è avvenuto nel caso della norma sugli effetti retroattivi del licenziamento disciplinare, perché nulla è detto nel medesimo articolo 1 in tema di applicabilità e, in difetto di una norma espressa, non può che operare il rinvio di cui al comma 8.
La Corte d’appello non ha correttamente applicato i principi esposti -
La Corte distrettuale, decidendo la controversia in epoca in cui vi erano in giurisprudenza orientamenti contrastanti sull’applicabilità della legge n. 92 del 2012, non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra sintetizzati.

La decisione
La sezione Lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 23424 del 6 ottobre 2017, accoglie, pertanto, il ricorso del dipendente, cassando la sentenza impugnata e rinviando ad una Corte d’appello in diversa composizione per una valutazione, alla luce del principio di diritto enunciato, delle conseguenze del licenziamento per giusta causa adottato in epoca successiva alla dispensa dal servizio.

Considerazioni conclusive
La sentenza in esame conferma, sul tema della mancata estensione della riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori al pubblico impiego privatizzato, il principio già espresso dalla sentenza n. 11868 del 9 giugno 2016 (Cassazione Lavoro), che aveva espresso il principio secondo cui  “Ai rapporti di lavoro disciplinati dal d.lgs. 30/3/2001 n. 165, art. 2, non si applicano le modificazioni apportate dalla legge 28/6/2012 n. 92 all’art. 18 della legge 20/5/1970 n. 300, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 resta quella prevista dall’art. 18 della legge 300 del 1970 nel testo antecedente la riforma”.

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