Personale

Per l’assegnazione di mansioni superiori non serve il consenso del dipendente

di Vincenzo Giannotti

Nel rapporto di lavoro con la Pubblica amministrazione, sia la fonte legislativa sia quella contrattuale riconoscono al datore di lavoro un potere unilaterale nell’assegnare mansioni superiori, senza la necessità del consenso del lavoratore. Sono queste le conclusioni cui è pervenuta l'Aran nell'orientamento applicativo RAL_1945, pubblicato il 26 settembre 2017.

La richiesta del Comune
La domanda del Comune, inviata ai tecnici dell'Aran, è rivolta a conoscere se vi fosse o meno la necessità del consenso del lavoratore in caso di assegnazione a mansioni superiori, una volta verificate le condizioni previste dalla legge e dai contratti.

I presupposti
In merito alle condizioni per poter procedere all’assegnazione del dipendente a mansioni superiori, l'Aran indica le seguenti condizioni (articolo 52, comma 2, del Dlgs 165/2001):
a) in presenza di obiettive esigenze di servizio;
b) in caso di esigenza di copertura di una vacanza di posto in organico (per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti) ovvero quella di provvedere alla sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto.
Da un punto di vista contrattuale, le disposizioni di riferimento sono, invece, rintracciabili nell'articolo 3, comma 3, del contratto collettivo 31 marzo 1999 secondo cui «L'assegnazione temporanea di mansioni proprie della categoria immediatamente superiore costituisce il solo atto lecito di esercizio del potere modificativo».
Il successivo contratto del 14 settembre 2000, all'articolo 8 rinvia alle medesime condizioni legittimanti previste nel Testo unico del pubblico impiego, precisando inoltre che: a) il conferimento a mansioni superiori è disposto dal dirigente (o dal responsabile del servizio in enti privi di dirigenti) con comunicazione scritta al dipendente incaricato; b) i criteri sono definiti previa concertazione con le organizzazioni sindacali; c) al dipendente di categoria C, assegnato a mansioni superiori della categoria D, possono essere conferite anche incarichi di posizione organizzativa ricorrendone i presupposti.

Il potere di modifica
I tecnici dell'Aran precisano che al datore di lavoro pubblico è riconosciuto un vero e proprio diritto potestativo in materia di attribuzione di mansioni superiori. Infatti, l'unilateralità del potere modificativo è coerente con la complessiva regolamentazione dell'assegnazione a mansioni superiori del dipendente, di fonte sia legislativa sia contrattuale, la quale pure essendo articolata e particolareggiata, non richiede mai formalmente ed espressamente il preventivo consenso del dipendente stesso.

La differenza con il settore privato
Nell'ultima parte del parere l'Aran si sofferma sulla differenza rispetto al datore di lavoro privato, dove i giudici di legittimità hanno avuto modo, in diverse occasioni, di stabilire l'ammissibilità del rifiuto del lavoratore di espletare mansioni superiori a quelle della qualifica di inquadramento (ex multis Cassazione 12 febbraio 2008 n. 3304; 19 luglio 2013 n. 17713; 7 ottobre 2016 n. 20222). Questa differenza è sicuramente rintracciabile nella particolarità del rapporto di lavoro nel pubblico impiego che, in coerenza con le disposizioni della Carta costituzionale, deve assicurare i principi di economicità, efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa.
Va evidenziato come le mansioni superiori possono essere assegnate solo all'interno delle aree contrattuali, ossia non è consentito l'assegnazione di un dipendente di categoria D a mansioni di dirigente, mentre è possibile effettuare l'assegnazione di un dipendente di categoria C alle mansioni superiori della categoria D3. In tale ultimo caso, ha precisato l'Aranin un precedente parere (RAL_1844 del 24 maggio 2016) «… l'assegnazione a mansioni superiori, non costituendo una forma di inquadramento definitivo nella categoria superiore né, comunque, una forma di accesso, non presuppone necessariamente il possesso da parte del dipendente interessato del titolo di studio ordinariamente prescritto per l'assunzione di personale nella categoria superiore (salvo evidentemente il caso in cui vengano in considerazione le mansioni di uno specifico profilo professionale che richiedano il possesso di un determinato titolo di studio e/o di abilitazione professionale: geometra, ingegnere, avvocato, ecc.). Quello che rileva è la effettiva capacità del lavoratore a svolgere le nuove mansioni, come valutata, con conseguente assunzione di responsabilità, da parte del datore di lavoro pubblico».

L’orientamento dell’Aran n. 1945/2017

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