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Trattative al via sui contratti: fondo «stabile» per l’accessorio

Mercoledì prossimo partiranno le trattative all’Aran sul rinnovo dei contratti nella Pa centrale, ma la direttiva «madre» bollinata dalla Ragioneria (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 luglio) offre ovviamente indicazioni rilevanti anche per gli enti locali. In particolare, non poteva essere evitato uno degli argomenti più caldi, vale a dire la costituzione e l’utilizzo dei fondi per la contrattazione decentrata. Imposto anche dalla riforma Madia, si è cercato di declinare, in maniera ancora molto generica, gli obiettivi che la riforma ha previsto.

La quantificazione delle risorse
Innanzitutto si affronta l’argomento della semplificazione, tema caro anche del Dlgs 75/2017, il cui articolo 23 arriva a imporre un blocco del fondo per assicurare la semplificazione, con un collegamento arduo per la maggior parte degli interpreti. Sicuramente ben vengano disposizioni che rendano lineari le modalità di quantificazione delle risorse destinate al salario accessorio, considerato che, nella maggior parte dei verbali ispettivi della Ragioneria dello Stato, questo rappresenta un vero e proprio tallone d’Achille.
Il primo passo verso l’obiettivo è rappresentato dall’individuazione, da parte della contrattazione collettiva, di uno «stock di risorse certe e stabili». La previsione, pregevole nelle intenzioni, va però chiaramente definita nella sua portata, in quanto si potrebbe arrivare ad affermare che si considerano consolidate le risorse stabili quantificate con riferimento a una determinata data. Ma quali conseguenze si avrebbero se in queste risorse stabili fossero state inserite somme “forzando” la norma o, peggio ancora, senza alcun presupposto normativo? In altre parole, si finirebbe per rendere legittimi comportamenti non troppo lineari.

Il salario accessorio
La semplificazione dovrà riguardare, oltre che una parte consolidata, anche gli importi che annualmente gli enti possono mettere a disposizione per il salario accessorio. Una di queste voci potrà essere rappresentata dalla retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti cessati nell’anno; previsione che, anche se già contenuta in diversi contratti nazionali, alcune Corte dei Conti contestano in ragione del blocco alle risorse decentrate.
L’atto di indirizzo ribadisce la linea di demarcazione delle competenze, già affermata da più parti, ma che, nella realtà, è ancora difficile da rinvenire: la costituzione del fondo è materia riservata al datore di lavoro, l’utilizzo delle risorse decentrate è oggetto di contrattazione.
Rispetto a quest’ultimo versante, sul tavolo della trattativa con le organizzazioni sindacali vengono poste le somme disponibili, quantificate partendo dall’ammontare complessivo del fondo e dedotti gli importi già destinati, negli anni precedenti, alle progressioni economiche, alle indennità fisse che il contratto nazionale fa gravare sul fondo e ai compensi riconosciuti ai titolari di posizione organizzativa «individuati negli atti di organizzazione interna». Su questi ultimi soggetti, due sono le conseguenze che si possono trarre: da un lato si rende indiscutibile che il conferimento della posizione organizzativa e la quantificazione della relativa retribuzione di posizione e di risultato è sottratta alla contrattazione, la quale ne può solo prendere atto; dall’altro sorge il dubbio che sia intenzione della parte pubblica modificare il finanziamento di questo salario accessorio negli enti privi di dirigenza, facendolo gravare sul fondo e non più sul bilancio.
Per quanto riguarda le restanti previsioni in tema di utilizzo, non si rinvengono particolari novità, ad eccezione della disciplina sulle performance, dove la contrattazione dovrà indicare chiaramente e distintamente quali sono le risorse destinate alla performance individuale e organizzativa, ai criteri per la differenziazione e al premio per l’eccellenza.

La direttiva della Funzione pubblica

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