Personale

Dopo la condanna penale per corruzione scatta quella per danno all'immagine della Pa

di Marco Gennari

Con la sentenza n. 86/2017 dell'8 giugno 2017, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia, si occupa della vicenda legata a un diffuso sistema di corruzione all'interno dell'Agenzia delle entrate e infligge una pesante condanna a un funzionario infedele, che dovrà risarcire mezzo milione di euro a titolo di danno patrimoniale diretto e danno all'immagine, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali.

La vicenda
Nel caso in esame, come spesso accade, la magistratura contabile si muove dopo che la giustizia penale ha fatto il suo corso, al fine di salvaguardare l'integrità patrimoniale della Pa là dove l'azione amministrativa e la gestione finanziaria sono state intaccate da un impiego scorretto di risorse pubbliche.
Infatti, la pronuncia fa seguito a una sentenza emessa dal Tribunale di Milano nel 2011, poi divenuta irrevocabile, che accerta la colpevolezza del dipendente dell'Agenzia per una lunga serie di condotte illecite, rispetto alle quali l'interessato patteggia una pena di due anni e mesi tre di reclusione.
In breve, era prassi ricorrente del funzionario effettuare misure correttive e sgravi delle imposte dovute dietro pagamenti in denaro da parte dei contribuenti o dei loro commercialisti, con un conseguente danno all'erario sia di natura patrimoniale – là dove, per intervenuta prescrizione, non è stato più possibile iscrivere a ruolo le somme illegittimamente sgravate – sia per il danno all'immagine derivante dalla condanna penale per tali gravi reati.

La decisione
Il collegio richiama una consolidata giurisprudenza della Corte dei conti sul valore probatorio della sentenza di patteggiamento ex articolo 444 del codice di procedura penale che, pur non contenendo un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile, costituisce un elemento di prova per il giudice contabile.
Nella decisione si legge che «la sussistenza dei fatti illeciti attribuiti al convenuto, e la loro giuridica qualificazione intervenuta in sede penale, appaiono inconfutabili, nella loro storicità e definitività, anche in questa sede, senza necessità di alcuna particolare rivalutazione». Sulla base di questo presupposto logico-giuridico, il procedimento della Corte ha un esito lineare e appare quasi un atto dovuto, tant'è che il convenuto, a seguito della rituale notifica dell'invito a dedurre, non ha prodotto memorie scritte, né ha chiesto di essere sentito personalmente.
Rispetto alla vicenda in esame va poi rilevato che, a fronte di un danno patrimoniale pari a circa 110 mila euro, i giudici condannano il funzionario per un danno all'immagine che supera l'importo di 375 mila euro, ossia ben oltre il triplo nel pregiudizio arrecato alle casse dello Stato.
La mano pesante della magistratura trova fondamento nel fatto che il danno all'immagine comporta una sensibile alterazione del prestigio dello Stato, a seguito di una cattiva condotta perpetrata in dispregio delle funzioni e delle responsabilità del funzionario pubblico. A causa di ciò, osserva la Corte, «la Pa perde credibilità ed affidabilità all'esterno, ingenerandosi la convinzione che tale comportamento patologico sia una caratteristica usuale dell'attività dell'ente pubblico».

I comportamenti del funzionario infedele
Dalla lettura della sentenza è agevole desumere che i giudici si sono orientati al massimo rigore per una serie di elementi indicatori che depongono a favore dell'indubbia ed intrinseca gravità dei fatti contestati. Detti elementi riguardano le concrete modalità con cui si è estrinsecato il comportamento del funzionario dell'Agenzia, e si riassumono come segue:
a) comportamento socialmente riprovevole dell'imputato;
b) ripetitività degli episodi corruttivi;
c) impatto negativo sullo stato d'animo e sui sentimenti sia dell'Amministrazione di appartenenza, sia dell'opinione pubblica;
d) ampia risonanza degli eventi sugli organi di stampa.
Tenuto conto di ciò, la Corte prende in esame le somme di denaro indebitamente percepite dal funzionario e, sulla base una valutazione equitativa ai sensi dell'articolo 1226 del codice civile, giunge a quantificare un danno all'immagine di considerevole entità, per ripristinare la lesione giuridica del patrimonio pubblico con una condanna sicuramente esemplare.

La sentenza della Corte dei conti Lombardia n. 86/2017

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