Personale

Danno erariale la mancata restituzione dei compensi per attività non autorizzate

di Giuseppe Nucci

Il mancato versamento all’amministrazione dei compensi derivanti da attività lavorative esterne non autorizzate, svolte dal pubblico dipendente, costituisce un’ipotesi di presunzione assoluta di danno erariale, costituito dall’intero ammontare delle somme percepite. Questo è il principio ribadito dalla sentenza n. 19 del 21 febbraio 2017 della Corte dei conti, sezione per la Sardegna.

L’attività lavorativa esterna non autorizzata
Un soggetto, dopo alcuni rapporti lavorativi di collaborazione coordinata e continuativa con una Provincia, veniva assunto con contratto di lavoro a tempo determinato e inquadrato con la qualifica professionale di funzionario amministrativo. Successivamente è emerso che il dipendente, contemporaneamente, era socio di una società - nella quale aveva svolto, nonostante la posizione formale di socio accomandante, attività gestionale - e che risultava anche titolare di partita Iva per lo svolgimento di attività imprenditoriale di “servizi alle imprese” tramite una ditta individuale. Poiché l’attività lavorativa esterna è stata esercitata senza autorizzazione (che comunque non sarebbe stata possibile in base alla normativa vigente), e quindi in violazione dell’articolo 53 del Dlgs n. 165/2001 che disciplina la compatibilità tra pubblico impiego e incarichi retribuiti esterni, la Procura erariale citava il dipendente contestandogli un danno di 86.449,66 euro, pari ai compensi percepiti. Il convenuto eccepiva il difetto di giurisdizione che veniva riconosciuto dal Collegio.

La natura sanzionatoria del versamento dei compensi per l’attività lavorativa non autorizzata
Il dipendente, fondamentalmente, evidenziava che i fatti si erano svolti precedentemente all’introduzione del comma 7-bis nel citato articolo 53, secondo il quale “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”. In relazione a ciò il Collegio precisava che l’ordinanza della Corte di cassazione n. 19072 del 28 settembre 2016, riferita a una fattispecie simile, non aveva accolto la tesi che “la giurisdizione civile e quella contabile sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, sicché il rapporto tra le due azioni si pone in termini di alternatività anziché di esclusività, dando luogo a questioni non di giurisdizione ma di proponibilità della domanda”. La Suprema corte, invece, aveva stabilito che l’obbligo del pubblico dipendente di versare alla propria amministrazione di appartenenza il compenso percepito per un incarico presso terzi non previamente autorizzato, ha natura sanzionatoria:
-  in primo luogo, in base alla lettera del comma 7 che recita: “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza (…). In caso di inosservanza del divieto (…) il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore (…)”;
-  in quanto, diversamente opinando, non sarebbe manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione se fosse consentito “che si delineassero prestazioni lavorative senza corrispettivo, consentendo anche l’arricchimento senza causa dell’amministrazione di appartenenza senza alcun riferimento all’incidenza della condotta sul patrimonio della PA”;
-  perché tale previsione sarebbe funzionale a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico.

Il danno erariale “presunto”
In definitiva, secondo i giudici di Piazza Cavour, prima dell’introduzione del comma 7-bis, la linea di demarcazione tra la giurisdizione civile e contabile era la seguente. Qualora il giudizio attenga unicamente alle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo del dipendente di denunciare la percezione di compensi da parte di terzi, la relativa cognizione rientra nell’ambito della giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro mentre la giurisdizione è del giudice contabile se l’attività illegittimamente svolta dal dipendente pubblico a favore dei terzi determina anche un danno a carico della Pa, come potrebbe verificarsi, ad esempio, qualora l’attività in questione venisse svolta durante l’orario di servizio, con conseguente sottrazione all’ente pubblico delle energie lavorative del dipendente. Il comma 7-bis, invece, ha trasformato la richiesta di pagamento dei compensi non versati in una domanda risarcitoria, con presunzione assoluta di danno e conseguente devoluzione alla giurisdizione contabile.

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