Appalti

Nel primo decreto Conte partita da 1,5 miliardi sugli investimenti comunali

Ci sono Regioni ed enti locali in prima fila nel tentativo di rilancio degli investimenti pubblici che rappresenta la chiave di volta del programma enunciato martedì dal ministro dell’Economia Giovanni Tria alla Camera. Dalle amministrazioni locali, del resto, passa gran parte della spesa pubblica in conto capitale, e lì di conseguenza si concentra larga parte della crisi che ha caratterizzato questa voce negli ultimi anni.
A far salire le quotazioni dell’intervento nel cantiere del primo decreto legge del governo Conte è il lavoro tecnico che si è sviluppato dopo che due sentenze della Corte costituzionale (la 247 del novembre scorso e soprattutto 101 di marzo 2018) hanno colpito le regole del pareggio di bilancio degli enti locali.

Al centro delle obiezioni costituzionali c’è l’effetto di blocco che i meccanismi contabili producono sull’«avanzo di amministrazione», cioè sui “risparmi” che le amministrazioni riportano dagli esercizi precedenti. Sul piano tecnico la soluzione c’è, e passa dal ritorno al pareggio di bilancio originario (decreto legislativo 118 del 2011) che chiede di chiudere l’esercizio con un valore non negativo nel saldo fra entrate e spese finali. Da un punto di vista politico, la mossa aiuterebbe a passare subito ai fatti sulla ripresa degli investimenti pubblici, e questo spiega il favore con cui la guardano gli esponenti di punta di M5S e Lega al ministero dell’Economia. In questo passaggio, il decreto ripescherebbe quindi un lavoro tecnico portato avanti nell’ultima fase del governo Gentiloni: ma è stato lo stesso ministro Tria, del resto, a spiegare ieri che «le sfide condizionate dalla particolare situazione economica dovranno essere affrontate nel segno della continuità con le politiche adottate nel passato per gestire al meglio il presente».

Sul valore effettivo in termini di investimenti sbloccabili, i numeri restano tutti da definire. Le cifre sugli avanzi “bloccati” nei conti degli enti territoriali sono state elaborate dall’Ufficio parlamentare di bilancio (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa 9 marzo), e sono cifre enormi: in tutto si tratta di quasi un punto di Pil, 16,2 miliardi, divisi fra regioni (10,8 miliardi) ed enti locali (5,3 miliardi, 3,7 dei quali nei Comuni). Il cambio di regole, però, non libererebbe in un colpo solo tutti questi fondi accantonati, perché gran parte delle risorse resterebbero comunque «vincolate» a un’opera specifica, che va progettata in via definitiva, messa a bando e avviata. Per capire l’energia potenziale “nascosta” nei bilanci, allora, è più utile partire dalle richieste di spazi finanziari avanzate dagli enti locali per i vari bandi “pro-investimenti” messi in pista dall’ultima legge di bilancio: i Comuni hanno chiesto bonus per 1,15 miliardi di euro, e su questa base gli amministratori locali stimano uno sblocco potenziale intorno agli 1,5 miliardi di euro (una parte degli avanzi liberi può essere impiegata per spesa corrente). I numeri che contano, anche per pesare il possibile impatto della norma sui saldi di finanza pubblica e quindi le esigenze di copertura, saranno quelli della Ragioneria generale dello Stato.

Per quel che riguarda le Regioni c’è poi da distribuire il miliardo in due anni messo a disposizione dei loro investimenti dall’ultima manovra. La tabella con le cifre assegnate per regione per regione è pronta, era stata allegata a un emendamento presentato in commissione speciale al decreto Alitalia ma era caduta per incompatibilità di materia. Il decreto legge in costruzione offre quindi il primo treno utile per una norma che non ha costi aggiuntivi, perché il miliardo in due anni è già calcolato nei tendenziali di finanza pubblica.

Da questa doppia mossa, in ogni caso, potrà arrivare solo una prima spinta per un cambio di rotta sugli investimenti pubblici che ha bisogno di un lavoro più complesso. A pensarci, come ha spiegato Tria alla Camera, dovranno essere la task force interministeriale per semplificare il Codice degli appalti e le singole amministrazioni, sfruttando la riapertura del turn over per ricostruire le competenze tecniche e progettuali venute via via a mancare.

A certificare l’entità del problema ci sono i numeri. I più aggiornati sono quelli dell’ultima trimestrale di cassa della Ragioneria generale, che nel periodo gennaio-marzo di quest’anno mostra una flessione del 12,7% nei pagamenti per «investimenti fissi lordi» nella Pa rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E quella fotografata dalla Ragioneria è solo l’ultima tappa di una parabola discendente che continua da anni. Nel 2017, spiegano i dati di competenza del Def, gli investimenti sono scesi del 5,6% rispetto all’anno prima, e del 9,6% se il confronto si allarga al 2015. Nel 2017, ogni 100 euro di spesa pubblica solo 7,8 sono andati al conto capitale.

Sugli investimenti nazionali, invece, ai nodi burocratici e contabili si affiancano le incognite politiche continue. Ieri il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli è tornato sulla questione, ribadendo ieri alla Camera nel suo primo question time l’obiettivo di «riesaminare in tempi brevi le diverse grandi opere» e di «ridiscutere integralmente il progetto della Tav Torino-Lione», annunciando anche «ulteriori valutazioni costi-benefici» sul Terzo Valico dei Giovi.

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