Fisco e contabilità

La Consulta boccia i tagli alle Regioni: buco da 750 milioni

Nelle svariate decine di miliardi mobilitate dal «contratto di governo» il problema può sembrare secondario. Ma la sentenza n. 103/2018 depositata ieri dalla Corte costituzionale (presidente Lattanzi, redattore Zanon) pone due incognite aggiuntive sulle prospettive di finanza pubblica, già scritte nei tendenziali a differenza delle idee per ora confinate agli accordi politici: dal 2020 bisognerà trovare 750 milioni in più, perché il taglio chiesto alle Regioni è illegittimo. E il contributo aggiuntivo da 3,45 miliardi chiesto ai governatori può sopravvivere, con qualche difficoltà, fino al 2021. Poi bisognerà cambiare strada.
La nuova sentenza arriva una settimana dopo quella (la 101/2018 sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 18 maggio) che ha colpito il pareggio di bilancio vietando di bloccare, sempre dal 2020, gli avanzi (cioè i “risparmi”) di Regioni ed enti locali (fino a 16,2 miliardi di euro secondo l’Upb). Insomma: in campagna elettorale e nel «contratto» di finanza locale si è parlato poco, ma l’elenco dei compiti per il nuovo governo stilato dalla Consulta è ricco.

La tagliola costituzionale abbatte l’escamotage con cui la manovra per il 2017 (comma 527 della legge 232/2016, per gli addetti ai lavori) ha provato a eternare i tagli alle Regioni. Dal 2011 in poi, man mano che la crisi di finanza pubblica aumentava le richieste presentate dalle varie manovre agli enti territoriali, la Consulta ha ribadito più volte che i tagli strutturali, senza scadenza, ai fondi locali sono illegittimi. Il principio è chiaro, ma altrettanto netto è stato il ricorso dei governi a regioni ed enti locali per di far quadrare i conti pubblici. I tagli, allora, sono diventati provvisori sulla carta, ma sono rimasti stabili nei fatti grazie al gioco delle proroghe.

Illuminante in questo senso è la storia del taglio da 750 milioni all’anno colpito nella sentenza di ieri, che ha accolto l’ennesimo ricorso della Regione Veneto assistita da Luca Antonini e Andrea Manzi. Introdotta dal decreto Renzi sul bonus da 80 euro (Dl 66/2014) e prevista per gli anni 2014-2016, la misura è stata subito allungata fino al 2018 dalla successiva manovra d’autunno. La legge di stabilità dell’anno dopo l’ha estesa di altri dodici mesi, e lo stesso ha fatto la manovra successiva prorogandola al 2020. Una pioggia di rinvii, tra l’altro, arrivati con interventi incomprensibili per le rapide letture in commissione e in Aula(l’ultimo spiega che al comma 6 dell’articolo 46 eccetera la parola «2019» è sostituita da «2020»), che secondo la Corte sottraggono «al confronto parlamentare la valutazione degli effetti sistemici» degli interventi. E il Parlamento, chiosa la sentenza, perde sicuramente di vista questi effetti quando si raddoppia la vita originaria delle misure di finanza pubblica: di qui la bocciatura pronunciata sul taglio da 750 milioni dal 2020, e quella di fatto annunciata per l’eventuale allungamento post 2021 della richiesta da 3,45 miliardi.

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