Fisco e contabilità

Mini-compensi offensivi per la dignità dei revisori

Sono un revisore dei conti negli enti locali dal 1995 che ha svolto decine di incarichi, soprattutto in enti di piccola e media dimensione. Ma solo ora, dopo quasi un quarto di secolo, mi è stato proposto, a seguito di sorteggio e di surroga di un collega estratto non accettante, di far parte del collegio dei revisori dei conti di un Comune di poco più di 20mila abitanti. L’incarico prevede l’attribuzione di un compenso complessivo annuo, per ciascun membro del collegio, pari a a 4mila euro annui al netto dell’Iva e degli oneri di legge: circa il 60 per cento in meno del compenso massimo attribuibile nei Comuni di quella fascia in base al decreto ministeriale del Viminale del 20 maggio 2005, tabella A.

Ho manifestato il mio interesse a far parte del collegio dei revisori dei conti di quel Comune, ma ho anche manifestato la mia impossibilità a accettare l’incarico, non a quelle condizioni. È infatti un problema di deontologia professionale.

Il compenso proposto si pone appena al di sopra del compenso massimo attribuibile al revisore di un Comune compreso tra mille e i 1.999 abitanti! Ma com’è ovvio in un Comune così piccolo i casi da affrontare, gli oneri, le responsabilità, gli impegni lavorativi sono infinitamente minori.

Fatta salva la totale autonomia dell’ente a determinare i compensi per il proprio organo di revisione, è del tutto evidente la rinuncia del Comune, nello specifico caso, ad avere componenti professionalmente idonei e opportunamente motivati per svolgere al meglio il proprio incarico.

La decurtazione proposta risulta del tutto avvilente per chi voglia attendere ai propri compiti istituzionali con la professionalità, con la preparazione e con la diligenza del mandatario prevista dall’articolo 240 del Testo unico degli enti locali.

In questo senso l’atto di orientamento diffuso il 13 luglio 2017 dall’Osservatorio per la Finanza e la contabilità degli enti locali presso il ministero dell’Interno richiama e sottolinea come «può giungersi alla considerazione che la definizione di un compenso ai revisori in misura diversa dal compenso base nel livello massimo stabilito dal Dm del 2005 costituisce alternativa, teoricamente ammissibile, ma di natura eccezionale, tenuto conto della prevalenza, nella materia, della disciplina legale tipica, sia per quello che riguarda la costituzione del rapporto contrattuale, sia per quello che riguarda gli elementi di parametrazione del compenso, assorbendo, così, ampia parte degli aspetti consensuali».

Nella mia qualità di presidente di una sezione provinciale dell’Associazione nazionale certificatori e revisori enti locali (Ancrel) sono fortemente impegnato a formare i colleghi revisori, ma anche a invitarli a non svendersi, a difendere la dignità del proprio lavoro, a tutelare la professionalità acquisita, a dimostrare come i compiti istituzionali del revisore non sono un inutile orpello, ma un serio contributo alla corretta gestione dell’Ente e, in ultima analisi, una garanzia per l’operato dei Consigli Comunali, e non solo di quelli.

Non è certo con la mortificazione dei compensi e dei ruoli dei revisori che si possono risanare le finanze degli enti locali.

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