Fisco e contabilità

Sull’imposta di pubblicità no a rimborsi «automatici»

La sentenza 15/2018 con cui la Corte costituzionale ha “salvato” la disposizione interpretativa (articolo 1, comma 739, della legge 208/2015) sull’efficacia dell’abrogazione del potere di maggiorazione dell’imposta sulla pubblicità ne fornisce una lettura che non ha alcuna valenza precettiva, erga omnes. Ne consegue che la pronuncia non impone l’accoglimento delle istanze di rimborso dell’imposta che in questi giorni si stanno riversando in massa sui Comuni.

Il caso
Un breve antefatto. L’articolo 11, comma 10 della legge 449/1997 aveva istituito la facoltà per i Comuni di deliberare maggiorazioni dell’imposta sulla pubblicità fino al 50% per le zone di maggiore rilevanza sotto il profilo dell’impatto delle manifestazioni promozionali. Questa disposizione è stata tuttavia abrogata dall’articolo 23 del Dl 83/2012. È sorto tra gli operatori il dubbio su come dovesse essere interpretata la previsione di abrogazione. In particolare, secondo una tesi (Consiglio di Stato,
sentenza 6201/2014), l’abrogazione avrebbe impedito ai Comuni di continuare ad applicare anche le maggiorazioni già deliberate prima. Secondo un’altra tesi, invece (Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, sentenza 368/2015), la soppressione della facoltà non avrebbe avuto effetto sulle decisioni già adottate. Per dirimere questo obiettivo contrasto giurisprudenziale è stata emanata la disposizione interpretativa con il comma 739 della legge 208/2015, in base al quale la previsione di abrogazione non riguarda i Comuni che si fossero già avvalsi di questo potere. Quest’ultima norma è stata impugnata dalla Ctp Pescara. La Corte Costituzionale ne ha dichiarato la legittimità, dal momento che, sempre secondo la Consulta, non avrebbe la finalità di consentire all’infinito la conferma delle maggiorazioni già deliberate, ma quella, ben più limitata, di far salve le sole delibere adottate al 26 giugno 2012, data di entrata in vigore della norma di abrogazione. Sulla scorta dell’interpretazione data dalla Consulta, molti soggetti passivi dell’imposta sulla pubblicità hanno presentato istanze di rimborso del tributo pagato nelle ultime annualità.

La decisione
Al riguardo, va innanzitutto evidenziato che la Consulta ha accolto la lettura fornita dall’Avvocatura dello Stato, quasi che essa fosse l’unica in grado di supportare la tenuta costituzionale della disposizione di interpretazione autentica. Così non è detto che sia, visto il contrasto giurisprudenziale che si era formato già prima di essa. Detto in altri termini, nella sentenza della Corte Costituzionale non viene in alcun modo valorizzata l’esigenza di risolvere il conflitto, di cui si è fatto carico il legislatore, e dunque non è dato comprendere se questa esigenza sia o meno ugualmente meritevole di tutela legislativa.
A questo va aggiunto che le sentenze interpretative di rigetto non hanno il compito di fornire la corretta portata delle norme interpretate, perché il nostro ordinamento affida il compito alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione. Ne consegue che, allo stato, non ci sono le condizioni per procedere al pacifico accoglimento delle istanze di rimborso. Non è peraltro escluso che la questione venga riproposta alla Corte Costituzionale, questa volta evidenziando la verosimile finalità della norma del 2015. La Corte dovrà a quel punto esplicitare meglio se, e soprattutto per quali motivi, una tale finalità determini la violazione della Costituzione.

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