Fisco e contabilità

Bocciatura definitiva per il decreto con i fondi comunali del 2015 - Conti da rifare

di Gianni Trovati

Partita chiusa. Il decreto di Palazzo Chigi che ha distribuito fra i Comuni il fondo di solidarietà 2015, 2,8 miliardi in tutto, è illegittimo perché è arrivato fuori tempo massimo, ed è stato viziato da parametri irragionevoli che hanno punito gli enti in cui i valori catastali erano stati rivalutati aderendo in maniera puntuale agli inviti delle norme.

Le decisioni
Il Consiglio di Stato, con le sentenze gemelle 2200 e 2201 e 2203/2018 depositate ieri ha confermato le obiezioni del Tar Lazio (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 20 febbraio 2017) , bocciando in via definitiva il Dpcm del 2015. Ma nella sentenza, che chiude un lungo contenzioso avviato da Padova e da un gruppo di amministrazioni locali del trevigiano con la difesa dell’ex presidente della commissione sul federalismo fiscale Luca Antonini, i giudici amministrativi limitano i danni: vanno restituiti i soldi (7 milioni a Padova, e oltre 20 milioni ai Comuni trevigiani) agli enti che hanno presentato ricorso, perché la revisione dei fondi «avviene in proporzione e nei limiti dell'interesse azionato con il ricorso». Parallelo, e di identico successo, il ricorso del Comune di Cotronei (provincia di Crotone), difeso da Ettore Jorio e culminato nella sentenza 2203.

Dare e avere
L’illegittimità del decreto, insomma, non impone una revisione generale ex post delle quote assegnate tre anni fa a ogni Comune. Ma il problema resta complicato, perché l’entità complessiva del fondo di solidarietà non può cambiare, per cui la strada amministrativa permetterebbe solo di recuperare dagli altri enti che presentano saldi attivi le somme da restituire ai Comuni usciti vincitori dalla lunga battaglia giudiziaria. L’alternativa indicata dal Consiglio di Stato è quella di agire di forbice su altri capitoli dello stesso fondo, ma l’effetto pratico è lo stesso.

Le conseguenze
Ma al di là del caso specifico dei Comuni veneti sono le motivazioni generali a dettare istruzioni utili per tutti i prossimi passaggi amministrativi. Alla base della caduta del Dpcm ci sono due problemi: i tempi lunghi con cui è stato emanato il provvedimento, pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» solo il 5 ottobre dell’anno di riferimento quando ormai era impossibile per gli enti locali abbozzare qualsiasi programmazione per gli investimenti, e i vizi nel calcolo delle capacità fiscali che insieme ai fabbisogni standard stanno sostituendo progressivamente i criteri della spesa storica nella distribuzione delle risorse comunale. Padova, per esempio, era stato uno dei pochi Comuni italiani ad aggiornare le rendite catastali ritrovandosi quindi capacità fiscali «gonfiate» solo per il fatto di aver rispettato una norma che la maggioranza delle amministrazioni locali ha ignorato. Ma il bilancio, ricorda il Consiglio di Stato richiamando la sentenza 247/2017 della Corte costituzionale (descritta sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 30 novembre) è «un bene pubblico funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell'ente territoriale». E non può sopportare una gestione amministrativa così zoppicante.

La sentenza 2200/2018 del Consiglio di Stato

La sentenza 2200/2018 del Consiglio di Stato

La sentenza 2203/2018 del Consiglio di Stato

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