Fisco e contabilità

«No» al debito fuori bilancio per ripianare le perdite di un'azienda speciale

di Luciano Cimbolini

Il ripiano delle perdite di un'azienda speciale non rappresenta un obbligo da parte dell'ente locale e comunque non è riconoscibile quale debito fuori bilancio, se non nei limiti strettamente previsti dall'articolo 194, comma 1, lettera b), del Tuel.

I fatti
Un Comune campano ha formulato alla locale sezione regionale di controllo un quesito riguardante:
• l'obbligo o meno di ripiano delle perdite gestionali di un soggetto partecipato (nel caso di specie, un'azienda speciale), riconoscendo, come debito fuori bilancio in base all’articolo 194, lettera b) del Tuel, sia le perdite relative agli esercizi ante liquidazione, sia quelle relative agli esercizi in liquidazione;
• l'obbligo o meno di accollo del deficit finanziario in fase di liquidazione;
• la possibilità o meno di sottoporre un'azienda speciale alle procedure concorsuali di cui al Rd 267/1947.

La decisione
La Sezione Campania, con la delibera n. 11/2018, fornisce, o più precisamente, ribadisce alcuni importanti aspetti del complicato rapporto fra ente pubblico e soggetti partecipati.
In primo luogo, i magistrati campani ripetono che il nostro ordinamento non consente un'indiscriminata riconoscibilità dei disavanzi dei soggetti partecipati a titolo di debiti fuori bilancio, ma ne subordina la possibilità a una serie tassativa di presupposti. Con specifico riferimento ai disavanzi di «consorzi, di aziende speciali e di istituzioni”, infatti, la copertura (al fine di rispettare il pareggio del bilancio) può avvenire solo “nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi». L'articolo 194, comma 1, lettera e), del Tuel, difatti, è norma eccezionale e dunque non estensibile per analogia.
L'azienda speciale (articolo 114, commi 1, 3 e 4, del Tuel), ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, difatti, sia pure in forza di una norma entrata pienamente in vigore nel 2015 (articolo 80, comma 1, del Dlgs 118/2011 introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera aa), del Dlgs 126/2014), deve conformare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, dovendo rispettare l'obbligo dell'equilibrio economico.
La legge di stabilità 2014 (legge 147/2013, commi da 550 a 569, modificati dall'articolo 27 del Dlgs 175/2016 nel senso di non essere più applicabili alle società a partecipazione pubblica ora disciplinate dal testo unico del 2016) ha inoltre previsto che, nel caso di aziende speciali, istituzioni o società partecipate dalle Pa che presentino un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo, a partire dal 2015 gli enti di riferimento debbano accantonare nell'anno successivo, in un apposito fondo vincolato, un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione, facendo quindi “pesare” la perdita direttamente sul bilancio dell'amministrazione.
Come già affermato dalla Corte in molti interventi, la Sezione Campania conferma l'abbandono della logica del salvataggio a tutti i costi di strutture e organismi partecipati o variamente collegati alla Pa che versino in situazioni d'irrimediabile dissesto o l'ammissibilità d'interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza l'inserimento in un programma industriale o in una prospettiva che realizzi l'economicità e l'efficienza della gestione nel medio e lungo periodo. Questo principio, secondo la Sezione Campania, sulla scia di un orientamento ormai consolidato, vale oltre che per le perdite d'esercizio, anche riguardo alla copertura del deficit di liquidazione.
La Sezione ritiene, infine, che le norme civilistiche (articolo 2221 del Codice civile) e fallimentari (articolo 1 del Rd 267/1947) prevedono per gli enti pubblici economici, ai quali vanno ricondotte per questa finalità le aziende speciali, un'espressa esenzione dall'applicazione delle disposizioni in materia di fallimento e di concordato preventivo, sottoponendoli alla liquidazione coatta amministrativa. Questa scelta muove, secondo la Corte, dalla convinzione dell'incompatibilità tra le finalità della gestione di un servizio pubblico essenziale e gli effetti tipici del fallimento, che determinerebbe un'ingerenza dell'autorità giudiziaria in ambiti riservati alla Pa.

La delibera della Corte dei conti Campania n. 11/2018

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