Fisco e contabilità

Nella Pa 8 miliardi di debiti commerciali verso i costruttori

Otto miliardi di euro. La cifra secca scritta nelle fatture già scadute, spesso da molto tempo, è il modo più efficace per misurare il peso che nei bilanci dei costruttori hanno i mancati pagamenti da parte delle Pubbliche amministrazioni per cui hanno lavorato. Ma da sola non basta. Perché a gonfiare la dimensione vera del problema interviene il fattore tempo. Gli otto miliardi di oggi arrivano dopo una lunga storia di ritardi che da molti anni vede le imprese impegnate nella lunga attesa dei versamenti relativi a lavori i cui stati di avanzamento sono abbondantemente chiusi. Nei primi sei mesi dell’anno scorso, in base ai dati più aggiornati a disposizione, in media il pagamento è arrivato 96 giorni dopo la scadenza, nei due anni precedenti il ritardo-tipo oscillava fra i 106 e i 117 giorni e prima andava ancora peggio.
Morale: la situazione migliora, ma con enorme lentezza, e scarica sui conti di oggi anche la tensione finanziaria ereditata dal passato. Perché la zavorra dei crediti commerciali, una sorta di Npl paradossali perché dovuti proprio da chi dovrebbe garantire il rispetto delle regole, alimenta il fabbisogno di finanziamenti bancari e contemporaneamente colpisce il rating delle imprese, in un circolo vizioso che si innesta in un contesto dove la lentezza pubblica è la regola non solo nei pagamenti. Anche la ripresa degli investimenti, dopo gli anni del crollo prodotto dall’emergenza di finanza pubblica, si fa aspettare molto più del previsto, e su calendari decisamente troppo distesi viaggia anche la progettazione come mostrano le spinte (sotto forma di bonus e incentivi ai progetti) tentate dalla manovrina di primavera e rilanciate dalla legge di bilancio.

I tempi di pagamento
Guardata dal lato delle imprese, assume quindi una dimensione molto pratica la questione dei tempi di pagamento che divide Italia e commissione europea, e che ha portato un mese e mezzo fa al deferimento del nostro Paese davanti alla Corte di giustizia. Le regole europee che impongono di pagare i fornitori in 30 giorni (o in 60 nel caso di settori come la sanità) sono state accolte nel nostro ordinamento con il decreto attuativo di fine 2012. Ma nonostante gli sforzi di questi anni continuano a non essere recepite nella realtà. Lo stesso governo, quando si è arrabbiato per un deferimento giudicato «penalizzante», ha sostenuto che la mole degli arretrati avrebbe reso impossibile un adeguamento “rapido” ai tempi europei.
Eppure fra decreti sblocca-debiti da oltre 30 miliardi (sotto forma di prestiti alle Pa da ripianare in trent’anni anni) e regole per punire chi rimane troppo lento, di strada negli ultimi anni ne è stata fatta. Troppo poca, però, per superare le obiezioni europee e soprattutto le ricadute sull’economia reale e sui bilanci delle imprese che lavorano con la pubblica amministrazione: costruzioni e lavori pubblici sono ovviamente al centro del problema, che però tocca da vicino molti altri settori.

I ritardi nella pubblica amministrazione locale
A complicare il ritorno a ritmi fisiologici c’è anche la ramificazione dei ritardi nella pubblica amministrazione locale. Le stesse imprese delle costruzioni mettono in cima alla lista dei ritardatari i Comuni, seguiti da Province e Regioni. E quando si scende nel dettaglio, si scopre che il grado di certezza del ritorno di cassa cambia da amministrazione ad amministrazione.
Tra i grandi Comuni, il record negativo continua stabilmente ad abitare a Napoli, che nel terzo trimestre del 2017 (ultimo dato disponibile) ha fatto aspettare in media 335 giorni oltre la scadenza dei termini di pagamento. Un risultato plateale che mette in ombra i problemi di Roma, dove il ritardo è “solo” di 52 giorni, mentre a Catania sale vicino a 135. A Bologna, Genova e Firenze, invece, i bonifici arrivano in genere prima della scadenza. Segno che rispettare le regole è possibile, perché i vincoli di finanza pubblica sono uguali per tutti.

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