Fisco e contabilità

Riequilibrio pluriennale, durata in funzione delle passività

di Marco Rossi

La Legge di Bilancio 2018 interviene sulla disciplina del riequilibrio finanziario pluriennale (articolo 243-bis del Dlgs 267/2000), superando il precedente limite temporale massimo decennale e introducendo una durata variabile (tra quattro e venti anni) in funzione del rapporto tra passività e impegni di parte corrente.
Si tratta di una novità importante, in relazione all'utilizzo di un istituto che ha trovato crescente diffusione nell'ambito delle amministrazioni comunali e provinciali che presentano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario, nel caso in cui le misure di cui agli articoli 193 e 194 non siano sufficienti a superare le condizioni di squilibrio esistenti.

Lo strumento
È uno strumento che indubbiamente si presenta di minore impatto rispetto al dissesto, che consente di superare alcuni limiti degli ordinari strumenti di ripristino degli equilibri (come, ad esempio, il divieto di coprire con alienazioni patrimoniali il disavanzo di parte corrente) e che permette di ampliare il periodo ordinario di copertura del disavanzo oltre che di ripiano dei debiti fuori bilancio.
L'applicazione concreta finora intervenuta di questo istituto ha dimostrato, nondimeno, anche alcune criticità che hanno determinato, nel corso del tempo, una serie di modifiche alla disciplina definita, allo scopo di renderla maggiormente coerente con le esigenze di risanamento degli enti locali. Certamente permangono alcune problematiche rispetto all'attuazione, legate, ad esempio, alla gestione contabile nell'esercizio di ingresso (che si traduce in una gestione sostanzialmente in disavanzo), alla distribuzione del recupero del disavanzo nel periodo del piano, al monitoraggio periodico di quest'ultimo (anche da parte degli organi di revisione economico-finanziaria), alle difficoltà di effettuare un'immediata transizione da un esercizio in disavanzo a un esercizio (il primo del piano) in cui non solo garantire l'equilibrio ma avviare altresì proprio la copertura dello squilibrio.

La modifica della manovra
Con la Legge di Bilancio si stabilisce ora che la durata del piano è compresa tra quattro e venti anni ma non in funzione di una scelta discrezionale dell'ente, bensì in funzione del rapporto tra le passività da ripianare e l'ammontare degli impegni di parte corrente risultanti dal rendiconto dell'anno precedente a quello di deliberazione del ricorso alla procedura di riequilibrio o dall'ultimo rendiconto approvato, sulla base di scaglioni predefiniti. In particolare, la “scaletta” definita prevede una durata massima di quattro anni con un rapporto tra passività ed impegni fino al 20%; di dieci anni con un rapporto tra passività ed impegni fino al 60%; di quindici anni con un rapporto tra passività ed impegni fino al 100%; di venti anni in presenza di un rapporto tra passività ed impegni oltre il 100%.
È così attivata una correlazione immediata tra la durata del piano da predisporre e la rilevanza delle passività da ripianare, garantendo in prospettiva una migliore corrispondenza tra le caratteristiche dello strumento attivato e l'effettiva situazione economico-finanziaria caratterizzante l'ente locale che vi ricorre.

Vantaggi
In effetti, il limite decennale generalizzato (in precedenza vigente) poteva prestarsi a valutazioni ed esiti alterni: da una parte, in presenza di passività limitate, si traduceva potenzialmente in un'eccessiva diluizione del ripiano, rinviando l'impatto della copertura anche su amministrazioni successive riducendo lo “sforzo” nei primi esercizi; dall'altra parte, in presenza di passività estremamente rilevanti, l'effetto recupero del disavanzo scontava l'oggettiva difficoltà di reperimento di risorse aggiuntive, tenuto conto anche dei limiti massimi caratterizzanti la normativa tributaria.
Da questo punto di vista, quindi, l'allungamento del periodo massimo di costruzione del piano può essere quindi letto favorevolmente, nella prospettiva di costruire un meccanismo di guida programmatica e di verifica periodica dello stato di attuazione del risanamento che vede così migliorate le proprie condizioni di efficacia e di applicazione pratica, ferma restando l'esigenza di più rapida copertura in presenza di disavanzi tendenzialmente contenuti.

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