Fisco e contabilità

La riforma della Tari parte dai costi standard

Con un anno e mezzo di ritardo sulla tabella di marcia originaria, la decisione di infilare in manovra l’Authority sui rifiuti prova finalmente ad affrontare uno dei temi più intricati del fisco e dei servizi locali, riassunti dagli infiniti problemi della Tari. La strada è quella giusta, ma è lunga.
La vicenda della quota variabile moltiplicata in modo illegittimo sulle pertinenze mostra bene i danni, economici e d’immagine, che possono emergere più o meno a sorpresa quando si prova a nascondere la polvere sotto al tappeto. L’Autorità indipendente, a patto che sappia in fretta acquisire le competenze e la forza necessaria, è lo strumento adatto per risolvere questioni che non sono solo normative. Ma deve individuare bene l’agenda delle priorità.

Gli standard
La prima è rappresentata dagli standard per misurare il rapporto tra qualità e costi del servizio. Sulla carta, la Tari è il tributo più preciso nel panorama fiscale, perché il conto è pesato per coprire puntualmente gli oneri legati alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti. Ma se i costi sono fuori controllo, perché non esistono parametri condivisi per valutarli, tanta pretesa precisione viene meno. E basta uno sguardo alle tariffe per vedere che in genere la Tari pesa meno dove il servizio è migliore, perché l’efficienza gestionale (e industriale) riesce in genere a garantire risultati migliori a costi minori. L’altra faccia della medaglia, ovviamente, è che i cittadini dei territori dove il servizio zoppica pagano in media bollette più care, con tanti saluti all’ispirazione “corrispettiva” delle tariffe.

La differenziazione dei costi
Solo con criteri standard si può affrontare in modo trasparente anche l’altro problema, quello della divisione dei costi fra utenze domestiche da un lato e imprese e negozi dall’altro. Non ha senso che le bollette per lo stesso esercizio commerciale passino da 1.200 a 13mila euro all’anno nel raggio di poche decine di chilometri, ma non è una norma o una circolare a poter risolvere il problema. Servono, appunto, i “costi standard” dell’igiene ambientale.
Dopo, solo dopo, servirebbe anche qualche nuova legge, perché non è il caso di lasciare la Tari appesa a norme pensate vent’anni fa per la Tarsu, ma questo è solo l’ultimo passo. Prima viene un po’ di trasparenza, che serve ai cittadini ma anche alle aziende e ai Comuni per evitare contestazioni a ogni mossa. Proprio per questo c’era da tempo un accordo generale sull’Authority, ma in Italia il sentiero che porta dalle intenzioni alle regole, oltre che stretto, è sempre molto lungo.

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