Fisco e contabilità

In manovra salta il «salvatrivelle»: esenzioni Imu solo ai rigassificatori

L’ennesima puntata della saga intitolata all’«Imu delle trivelle» sfocia in un salvataggio a metà. Anzi: anche meno. L’ultima versione dell’emendamento salita ieri sul treno della legge di bilancio esclude l’Imu, la Tasi e l’Ici del passato, solo dai rigassificatori, che saranno tenuti a pagare l’imposta sugli immobili esclusivamente per le parti destinate a «uso abitativo e servizi civili». In pratica, con un’operazione chirurgica si toglierà dall’impianto la gran parte della base imponibile, ritagliando il valore catastale delle camere degli operai e delle parti dedicate ai servizi comuni. La norma gemella per le trivelle, prevista nella prima versione del correttivo, è stata invece cancellata.

Una soluzione parziale
Il risultato finale, insomma, è più che parziale: la manovra salva dalle imposte passate e future cinque rigassificatori, come quello di Livorno a cui il Comune ha chiesto arretrati per le 23 milioni di euro (gli altri sono a Porto Viro, in provincia di Rovigo, Porto Empedocle, vicino ad Agrigento, Falconara Marittima, in provincia di Ancona, e Gioia Tauro, nel territorio della città metropolitana di Reggio Calabria). Le trivelle censite in Italia, invece, sono 119, e sono al centro di una battaglia di carte bollate con i Comuni che vale almeno 300 milioni di euro. Ma, almeno per ora, continueranno a essere esposte alle richieste locali, fermate solo dall’anno scorso quando anche loro sono entrate nel novero dei «macchinari imbullonati» esentati dall’Imu.

Storia della vicenda
Ma il problema, appunto, è l’arretrato, e questo spiega la travagliata vicenda giocata a suon di norme interpretative che in quanto tali valgono anche per il passato.
A far deflagrare la vicenda sono state due sentenze (la 3618 e la 19510 del 2016 si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 ottobre 2016) in cui la Cassazione ha dato ragione ai sindaci che avevano presentato il conto Ici/Imu alle società proprietarie delle trivelle. Da Ravenna a Cesenatico, da Pineto (Teramo) a Termoli (Campobasso), le compagnie si sono viste indirizzare richieste da decine di milioni di euro. Ma non hanno rinunciato a tentare vie alternative, tradotte in una serie di emendamenti sempre caduti sul finale.
L’ultima volta era toccato alla manovrina di primavera (decreto legge 50/2017), che nella versione approvata dal governo aveva previsto lo stop per Ici, Imu e Tasi sulle trivelle in quanto «non iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati». Il tentativo aveva subito acceso le discussioni fra i giuristi sulla sua efficacia, fino a che il Quirinale aveva deciso di cancellarlo dal testo trasmesso alle Camere.
Di qui la nuova puntata di ieri, che ha però escluso all’ultimo secondo le trivelle, cioè la fetta più consistente della questione, anche per evitare di far salire troppo la polemica con i sindaci. Ma ora l’appuntamento è alla Camera.

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