Fisco e contabilità

Conto da 9,9 miliardi per la gestione rifiuti: l’87% dai contribuenti

Il peso della Tari dipende direttamente dai costi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, ma questi viaggiano liberi, senza uno standard che misuri il “prezzo giusto” dell’igiene urbana. Con la conseguenza, inevitabile, che la Tari costa meno dove il servizio è organizzato meglio, e affidato a operatori che per dimensioni e strategie industriali sono in grado di investire su impianti e macchinari. Dove invece la dimensione resta municipale, la macchina arranca e finisce spesso per caricare sul conto anche i costi di spedizione dei rifiuti verso territori più attrezzati, in Italia e all’estero.

I conti
Partiamo dai fondamentali. Smaltimento e gestione dei rifiuti valgono ogni anno 9,99 miliardi di euro, per l’87% coperti dalla tassa rifiuti che costa quindi a cittadini e imprese 8,69 miliardi. Poco più di 732 milioni (il 7,3%) arriva dal contributo Conai, pagato dalle imprese produttrici per finanziare lo smaltimento degli imballaggi dei loro prodotti, 549 milioni sono il gettito degli incentivi alla generazione di energia elettrica e mentre l’ecotassa, che dovrebbe disincentivare il deposito in discarica dei rifiuti urbani, costa meno di 127 milioni all’anno. Queste cifre elaborate da Althesys, la società che misura performance e strategie delle aziende di servizi pubblici, indicano bene le priorità effettive che finora hanno indirizzato le regole italiane: far pagare agli utenti un costo del servizio quale che sia, senza parametri di qualità, disinteressandosi degli incentivi alle buone pratiche (il contributo sugli imballaggi è troppo leggero per avere effetti sui prezzi e quindi sulle scelte dei consumatori) e delle penalità per le cattive abitudini (non bastano certo 127 milioni all’anno, il due per mille del costo complessivo dei rifiuti, per spingere a ripensare l’uso delle discariche). Si spiega anche così la distanza che separa l’igiene ambientale italiana da quella tedesca, in cui le discariche sono tramontate del tutto a metà degli anni ’90, o da quella inglese, che mentre noi ci dilettavamo nel passaggio da Tarsu a Tia1, poi a Tia2 e infine alla Tari passando per la Tares, riduceva in quindici anni dall’82% al 23% la quota di rifiuti destinata alla discarica.

L’industria dei rifiuti
Le dimensioni della bolletta dipendono quindi dall’efficienza del sistema industriale che raccoglie e smaltisce i rifiuti. Ma come sta l’Italia?
I numeri aggiornati sulla geografia dell’industria dei rifiuti saranno pubblicati oggi a Roma con la presentazione del nuovo Rapporto realizzato da Althesys insieme a Was, il think tank italiano sull’industria del aste management e del riciclo. E mostrano la più classica Italia divisa, fra un Nord dove crescono aggregazioni e investimenti è un Centro-Sud dove il dominio incontrastato di in house e micro-aziende locali limita performance e prospettive.
Bastano pochi numeri a inquadrare il problema. L’indagine ha messo sotto esame le 100 aziende maggiori del settore (che servono 37,9 milioni di italiani e sommano 7,4 miliardi all’anno di valore della produzione, cioè il 74,1% del totale), ed è già significativo il fatto che solo tre abbiano l’etichetta di grandi multiutility mentre il resto del panorama è diviso fra aziende medio-piccole, attive in uno o più servizi, e operatori metropolitani. Dipende da questa architettura l’andamento degli investimenti, motore indispensabile per aumentare la raccolta differenziata e il riciclo. Nel 2016 gli investimenti dei top 100 sono aumentati del 10,6% rispetto all’anno prima, ma questa spinta arriva quasi tutta dai tre operatori più grandi, che coprono il 47,5% della spesa (nel 2015 la loro quota era del 39,6%), mentre la quota coperta dagli operatori municipali scende dal 16,9% al 10,4%. Un quadro così squilibrato ha un riflesso immediato sulla geografia degli investimenti, che si concentrano sempre di più al Nord (71,5%) lasciando le briciole alle aree del Centro e soprattutto a quelle del Mezzogiorno, dove si spendono solo 5,1 euro ogni 100 investiti in Italia: e la distanza sembra destinata a crescere, perché gli operatori settentrionali sono stati protagonisti di 28 delle 45 operazioni straordinarie (acquisti di quote, fusioni ecc) realizzate nel 2016. Ecco spiegate le differenze registrate dall’ultimo Rapporto Ispra nei costi dello smaltimento: a Nord, dove la differenziata viaggia al 64,2%, ogni tonnellata di rifiuti urbani si porta via in media 342 euro mentre a Sud (con un 62,4% di indifferenziato) il conto sale a 433 euro. E si scarica direttamente in bolletta.

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