Fisco e contabilità

Sì alla «fondazione di partecipazione» ma nel rispetto dei principi di sana gestione

di Giovanni G.A. Dato

Un ente locale ha posto un quesito con il quale chiede se, in quanto soggetto promotore e socio di una «fondazione di partecipazione», possa cedere gratuitamente in proprietà alla stessa alcuni beni che entrerebbero a far parte del patrimonio della fondazione e concorrerebbero a determinare i limiti, previsti dalla legge, per il suo riconoscimento.
La questione è stata esaminata dalla deliberazione della Corte dei conti, Sezione regionale controllo Basilicata, n. 52/2017/PAR.

La «fondazione di partecipazione»
Secondo la tesi dominante nella giurisprudenza contabile, con la «fondazione di partecipazione» un ente pubblico persegue uno scopo di utilità generale, creando un sodalizio (partnership) pubblico-privato tale da poter ricorrere e/o usufruire di maggiori disponibilità finanziarie, revenienti dall’esterno e di attività maggiormente qualificate di amministrazione (management) nella gestione dei servizi.
Si tratta di una figura atipica, che riassume i caratteri sia della fondazione che dell’associazione (la commistione dell’elemento patrimoniale con quello “associativo” trae origine dalla partecipazione di più soggetti alla costituzione dell’organismo). In presenza di determinati requisiti (la costituzione/partecipazione, da parte enti pubblici, mossi dall’intento di realizzare un fine pubblico con finanziamenti pubblici e con modalità di gestione e controllo ricollegabili alla volontà degli enti soci), la persona giuridica privata, indipendentemente dal riconoscimento della personalità giuridica, diventa un semplice modulo organizzativo dell’ente pubblico socio, così come altre forme organizzative aventi natura pubblicistica quali le aziende speciali e le istituzioni (articolo 114 Tuel).
Trattandosi di un negozio giuridico a struttura aperta, per individuare la disciplina applicabile occorre avere riguardo, in particolare, alle clausole statutarie; in genere, la gestione è soggetta al controllo degli enti pubblici, il finanziamento è in misura prevalente a carico di enti pubblici o di organismi di diritto pubblico e l’organo di amministrazione o di vigilanza è costituito da componenti dei quali più della metà è designata dagli enti pubblici o da organismi di diritto pubblico.
Gli organi di governo della fondazione di partecipazione hanno natura “servente” rispetto allo scopo indicato dal fondatore – ente pubblico e cristallizzato nel negozio di fondazione, tale da divenire immodificabile anche per lo stesso fondatore successivamente al riconoscimento della personalità giuridica. I vincoli pubblicistici in materia di limiti di spesa sono da applicare agli organismi partecipati di cui trattasi, in quanto moduli organizzativi dell’ente locale per l’esercizio di funzioni generali proprie.

Il parere
Secondo la deliberazione in commento, sotto il profilo dei vincoli di finanza pubblica non sono ravvisabili ostacoli alla partecipazione degli enti locali in società o in fondazioni, atteso che i divieti di assumere e di mantenere partecipazioni in organismi societari per gli enti con meno di 30.000 abitanti (articolo 14, comma 32, Dl. n. 78/2010) e di istituire organismi comunque denominati e di qualsivoglia natura giuridica, destinati ad esercitare una o più delle “funzioni fondamentali” dell’ente ovvero una o più delle “funzioni amministrative” di cui all’articolo 118 Costituzione (articolo 9, comma 6, Dl. n. 95/2012) sono stati abrogati con decorrenza dal 1° gennaio 2014 (commi 561 e 562 dall’articolo 1, Legge n. 147/2013).
Resta fermo, tuttavia, che l’ente dovrà considerare tutte le implicazioni dell’operazione prospettata sul piano finanziario, anche in prospettiva futura, in ossequio ai principi di sana gestione e delle regole della contabilità pubblica; ed invero, l’inevitabile immobilizzazione di risorse che consegue all’assunzione di partecipazioni in enti di natura privatistica, con sottrazione delle stesse ad altri impieghi, richiede un’attenta valutazione da parte dell’ente.

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