Fisco e contabilità

Spesa per interessi in sicurezza fino al 2018

Per l’anno in corso la Nota di aggiornamento del Def conferma al 3,9% l’ammontare della spesa per interessi, contro il 4% del 2016. Risultato che si raggiunge per gran parte grazie al permanere della politica monetaria espansiva della Bce. Si stabilizza in sostanza il quadro delineato nel Def di aprile, e per il 2018 il rialzo dei rendimenti sui titoli di Stato «con effetti crescenti nel 2018-2020» indicato nel Def potrebbe mostrare un andamento meno marcato, garantendo un risultato forse anche migliore dell’attuale 3,7 per cento. Il problema si porrà con maggiore evidenza nel 2019, tenendo conto che già il quadro previsionale del Def prevede una maggiore spesa per interessi di 5,6 miliardi.

L’incognita, per quel che riguarda le variabili macroeconomiche, resta l’inflazione. L’indicatore è in via di definizione, ma difficilmente potrà essere confermato all’1,2% il deflatore del Pil e al 2,3% il Pil nominale per l’anno in corso (nel 2018 rispettivamente all’1,7% e al 2,7%). Poiché è il Pil nominale il valore di riferimento, non basta in sostanza la maggior crescita, indicata nel 2017 attorno all’1,5% contro l’1,1% del Def di aprile, a garantire la discesa del debito dal 132,8% del 2016 al 132,5% di quest’anno e al 130,1% nel 2018. Anno in cui il Pil reale non dovrebbe superare l’1,1 per cento.

Non a caso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan parla di una crescita certamente più sostenuta nell’anno in corso, rispetto a quanto previsto sei mesi fa, ma non tale da «allentare i vincoli di finanza pubblica». Si tratta di un passaggio chiave, perché alla “stabilizzazione” del rapporto debito/Pil più volte evocata dallo stesso Padoan dovrà ora seguire un graduale percorso di riduzione. Condizione assoluta, sia in previsione del graduale esaurirsi del Quantitative easing, sia delle ripercussioni che potrebbero determinarsi sui mercati se l’esito delle prossime elezioni non garantirà la governabilità. La mancata (o più lenta del previsto) riduzione del debito esporrebbe nuovamente l’economia al rischio di aumenti dello spread ingenerati dal ritorno della percezione sui mercati del rischio-paese. E sarebbe arduo ottenere ulteriori margini di flessibilità, quali quelli che Bruxelles sta per concedere, accettando di fatto il dimezzamento (dallo 0,6% allo 0,3%) del taglio del deficit strutturale. Il deficit nominale potrà collocarsi al 2,1% e nei dintorni dell’1,8% nel 2018, dunque lo 0,6% in più rispetto a quanto fissato dal Def di aprile. Margine di manovra che sarà utilizzato per disattivare le clausole di salvaguardia del 2018.

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