Appalti

Appalti a prezzi unitari, illegittimo il divieto generalizzato di offerta al rialzo rispetto alla base d'asta

di Stefano Usai

La stazione appaltante negli appalti «a prezzi unitari» non può prevedere un divieto generale per gli appaltatori – a pena di esclusione – di proporre offerte «al rialzo» rispetto alla base d'asta complessiva. La clausola che vieta l'offerta a un prezzo più alto, pur senza fondamento normativo nell'attuale codice dei contratti, può essere utilizzata nel caso di appalto con prezzo « a corpo» (unico) ma non nel caso in cui debbano essere formulati dei prezzi «frazionati», salvo il caso in cui la stazione appaltante non individui specifiche ragioni di pubblico interesse. In questo senso si è espresso il tribunale amministrativo della sezione di Bolzano con la sentenza n. 71/2018.

La questione
Il ricorrente ha impugnato l'aggiudicazione relativa alla fornitura e «messa in funzione di mobili e impianti multimediali» presso un istituto scolastico. L'oggetto del contendere ha riguardato una particolare norma contenuta nel disciplinare di gara che – a detta del ricorrente – la stazione appaltante aveva omesso di applicare.
La previsione puntualizzava « con disposizione assistita da espressa comminatoria di esclusione – il divieto di presentare offerte con importi unitari o parziali superiori a quelli indicati nella lista dei prezzi unitari, “ancorché l'offerta complessiva fosse inferiore alla base d'asta”». L'offerta dell'aggiudicataria (contestata) prevedeva prezzi unitari (10 su oltre 140) che superavano gli importi indicati nell'elenco prezzi previsto dal disciplinare di gara. L'offerta economica complessiva, però, restava al di sotto della base d'asta integrando un ribasso del 28,74%. Al giudice, quindi, si è posta la questione della legittimità di una clausola con un divieto assoluto di proporre dei prezzi (unitari) più alti pur restando – e anzi offrendo un ribasso complessivo – nell'ambito della somma posta a base d'asta da parte della stazione appaltante.

La decisione
Secondo il giudice l'omessa applicazione della clausola contestata da parte della stazione appaltante (l'assoluto divieto di presentare offerte al rialzo) è corretta. Infatti, pur non ravvisando alcun fondamento normativo nell'attuale codice dei contratti – in cui non sono transitate le disposizioni degli articoli 83 e 83 del vecchio codice - la clausola deve essere interpretata alla luce della funzione di tutela nei confronti della stazione appaltante.
L'esclusione della possibilità di presentare offerte superiori ai prezzi fissati dalle norme di gara – si legge nella sentenza, deve essere «coniugata in funzione della ratio sottesa al divieto, concepito come strumento di contenimento della spesa pubblica ed applicabile, in ragione del suo carattere derogatorio della libertà di concorrenza e del favor partecipationis, nei limiti strettamente necessari per garantire il perseguimento di tale superiore interesse».
L'esigenza di limitare la possibilità di offrire prezzi eccedenti quelli posti a base di gara sussiste soltanto nei casi in cui si superi il limite di spesa stabilito negli atti di determinazione a contrarre e di indizione della procedura. Questo interesse non appare, invece, «ravvisabile qualora l'aumento riguardi singole componenti parziali della fornitura e sia compensato dalle riduzioni più che proporzionali riferite ad altri articoli di prezzo, con somma finale algebrica inferiore all'importo complessivo posto a base di gara».
In questo senso deve essere inteso anche l'omologo divieto rinvenibile nei bandi tipo dell'Anac.
In sostanza, il divieto delle offerte al rialzo è compatibile con l'appalto con prezzo a corpo mentre nel caso di prezzi “frazionati” (unitari) – si pensi in particolare al caso di forniture di beni diversi – un eventuale divieto deve trovare adeguata giustificazione in un interesse specifico e prevalente per la stazione appaltante.
La verifica giurisprudenziale – prosegue il giudice – fa emergere «come il divieto in questione non sia sancito in termini assoluti, ben potendosi ipotizzare casi in cui sussista un apprezzabile interesse pubblico ad escludere offerte in aumento anche per singoli prezzi unitari o articoli di fornitura, quando gli stessi integrino un elemento essenziale dell'offerta».
Un caso specifico può essere quello esaminato dal Tar Lombardia, sentenza n. 28/2015, in cui la legge di gara «individuava espressamente alcuni, specifici prezzi unitari che, essendo oggetto di convenzione Consip, non potevano, per legge, superare i migliori prezzi previsti nella convenzione medesima (v. art. 1, comma 494 della legge n. 208/2015)».
Nel caso di specie nessuna esigenza specifica è stata certificata ma, soprattutto, la clausola risultava espressa in termini generali ed assoluti tali da renderla inapplicabile per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione e bene ha fatto la stazione appaltante a non considerarla.

La sentenza del Trga Bolzano n. 71/2018

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