Appalti

La Campania trova un rimedio fai-da-te contro l’abusivismo edilizio

Un condono edilizio fai-da-te per la Campania. Falliti i tanti tentativi di inserire la minisanatoria «per necessità» in qualche legge in corsa al Parlamento, sfumato il sogno di una norma ad hoc (Ddl Falanga), digeriti un paio di altolà della Consulta, che ha sempre negato a una singola Regione lo spazio per farsi un condono da sola, ora la Regione ci riprova e vara le linee guida di supporto ai Comuni in materia di abusivismo edilizio.

La situazione sul territorio
Sul territorio pesa lo spettro di oltre 60mila ordinanze di demolizione di altrettanti immobili abusivi, oltre al pasticcio di un condono varato in ritardo nel 2003 e, dunque, di fatto inutilizzabile. Per tentare di risolvere la questione stavolta la Regione ha scelto una strada laterale, lontana dalle luci della ribalta di Montecitorio. Prima, una legge regionale dal conciliante titolo: «Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio» in cui si lascia intravedere la possibilità di trovare «misure alternative alla demolizione degli immobili abusivi»; poi, una modesta (in fatto di gerarchia delle fonti normative) delibera di Giunta, approvata il 6 febbraio, nonostante la legge nel frattempo sia stata impugnata dal Governo perché - è la tesi dell'Avvocatura - «realizza un condono edilizio straordinario».

Le linee guida
Le linee guida della Giunta sono un atto di indirizzo, non vincolante, né ovviamente rispetto alla norma statale (che ammette la mancata demolizione solo in ipotesi eccezionali), né per i Comuni che per primi debbono valutare, caso per caso, se al posto della demolizione non sia meglio procedere ad acquisire l’immobile al patrimonio comunale per «prevalenti interessi pubblici». Ma per non lasciarli soli di fronte a questo oneroso compito la Regione ha messo nero su bianco 29 pagine di consigli che una mano la possono dare: per esempio fornendo quattro motivi validi per dire no alla demolizione. Oltre al (poco probabile) obiettivo di incrementare il patrimonio pubblico (e i relativi costi), si classifica come interesse pubblico anche l’intento di evitare «l’aggravarsi delle condizioni di disagio abitativo» dando per scontato che ci siano zone in cui «il fenomeno della realizzazione di edifici ad uso residenziale privi di titolo riveste particolare rilevanza». Una presa d’atto, insomma, di uno stato di fatto contro cui anche le istituzioni trovano difficile combattere.
Ma anche una volta evitate le ruspe e acquisita la casa al patrimonio comunale, resta il problema di come “restituirla” agli occupanti. E qui le linee guida sono un capovaloro di equilibrismo normativo: trattandosi di beni pubblici - è la tesi - la via prioritaria è l’assegnazione con gara. In teoria. In realtà, caso per caso - si legge - il Comune potrà anche riconoscere all’occupante di necessità un interpello preliminare per l’assegnazione dell’immobile. Naturalmente pagando il canone, persino maggiorato se lo spazio eccede lo standard di adeguatezza. Nelle linee guida i Comuni possono trovare numerosi suggerimenti anche per “soppesare” i possibili vincoli. Per il rischio idrogeogico, ad esempio, senza speranza resta solo l’abuso in area con vincolo di inedificabilità assoluta (il massimo grado). Negli altri casi, c’è speranza: il mantenimento dell’immobile «potrà essere valutato». Magari adottando misure di mitigazione del rischio, da stimare. Il conto poi arriverà - conclude il documento - «nella fase gestoria».

Le linee guida di supporto ai Comuni

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©