Appalti

La ricostruzione dopo un crollo è ristrutturazione edilizia

di Pippo Sciscioli

La ricostruzione di un edificio a seguito di un crollo può qualificarsi come ristrutturazione edilizia in base all’articolo 3, comma 1, lettera d) del Dpr 380/2001, per cui è sufficiente la presentazione della Scia - e non come nuova costruzione, per la quale è invece necessario il rilascio di un permesso di costruire - solo se il soggetto dimostra concretamente elementi sufficienti per provare le dimensioni e le caratteristiche del fabbricato crollato. E questo anche se l'edificio non è esistente né totalmente né parzialmente alla data di effettuazione dell'intervento ricostruttivo.

Il caso
È quanto si deduce dalla sentenza n. 4759/2017 della sesta sezione del Consiglio di Stato, intervenuto a risolvere definitivamente una controversia che ha visto opposti un Comune del torinese e alcuni proprietari di un immobile i quali avevano operato una trasformazione di una vecchia dimora rurale in una casa trifamiliare previa ricostruzione di parti crollate, apportando un miglioramento dell'edificio, in seguito all'intervento di messa in sicurezza eseguito sull'immobile.

La decisione
Secondo i giudici di Palazzo Spada, nel caso di specie, non è invocabile la fattispecie della nuova costruzione bensì della ristrutturazione edilizia, assentibile con semplice Scia secondo quanto stabilito dall’articolo 22 del Dpr 380/2001 da presentarsi a cura del proprietario al Sue.
Infatti, un edificio può dirsi esistente non solo nella fattispecie più frequente in cui esista un organismo edilizio, anche se non abitato o abitabile connotato nei suoi caratteri essenziali e dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da consentire la sua ricostruzione pressochè fedele, ma anche quando lo stesso non esista più alla data della ricostruzione ma la sua recente consistenza, precedente un sisma o un evento assimilato, sia comunque apprezzabile e valutabile compiutamente sulla base di indagini aerofotogrammetriche o immagini e ricerche satellitari di indubbia veridicità.
In sostanza, per poter qualificare come ristrutturazione edilizia e non come nuova costruzione l'intervento di ripristino di un edificio o di parte di esso, crollato o demolito, è condizione necessaria e sufficiente il ricorso ad accertamenti documentali da cui si evinca la precedente consistenza, essendo invece insufficienti apprezzamenti soggettivi.
Alla base della sentenza, il richiamo rigoroso all'articolo 3, comma 1, lettera d) del Dpr 380/2001, nel testo novellato dal decreto del Fare (legge 98/2013), secondo cui «Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente... nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza». Ed è proprio la prova documentale e inconfutabile di quest'ultima che consente di qualificare in termini di ricostruzione e non di nuova costruzione, l'intervento proposto.
Solo in questi termini, infatti, si giustifica la spinta liberalizzatrice del Legislatore degli ultimi anni sul fronte dell'edilizia, finalizzata a sbloccare i cantieri e ad accelerare le pratiche edilizie di quei progetti che non incidono sui parametri urbanistici del territorio e non aggiungono nuove edificazioni sul territorio in quanto danno vita a mere «sostituzioni edilizie», cioè autentiche «rottamazioni» di fabbricati preesistenti, purchè le stesse siano oggettivamente documentabili.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4759/2017

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