Appalti

I giudizi pendenti non escludono dalla gara anche se riguardano «illeciti professionali gravi»

di Paola Rossi

Non si può essere esclusi da una gara a causa di una precedente risoluzione contrattuale per gravi illeciti professionali se è ancora pendente il relativo giudizio. Così il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1955/2017 nega che sia causa di esclusione la fattispecie prevista dall’articolo 80 del Codice degli appalti, prima che sia definita in giudizio o sia ancora impugnabile la risoluzione contrattuale per un precedente appalto.

Niente automatismi
Secondo Palazzo Spada la norma in questione (articolo 80, comma 5, lettera c, del Dlgs 18 aprile 2016 n. 50) che prevede tra le cause di estromissione di un partecipante a una gara i «gravi illeciti professionali» va letta secondo l’interpretazione che nega l’applicabilità dell’automatica esclusione di un concorrente nel caso che sia pendente e non sia definitivo il giudizio sulla contestazione di una risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti dell'impresa in un precedente rapporto con la pubblica amministrazione. Illeciti che ovviamente minano l’integrità o l’affidabilità dell’impresa, ma che devono però essere incontestabili. Si tratta di «significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata».

Accertamento nel merito
Secondo i giudici del Consiglio di Stato al provvedimento di risoluzione deve essere data acquiescenza oppure il provvedimento deve risultare confermato nel caso sia stato sottoposto all’apprezzamento del giudice. E tale conferma giurisdizionale non può che consistere in una pronuncia di rigetto nel merito dell’impugnazione contro il provvedimento di risoluzione contrattuale, ma che sia divenuta inoppugnabile. Questo il senso dell’espressione normativa «all'esito di un giudizio». Nel caso specifico risolto dai giudici amministrativi è stata, invece, ritenuta condizione insufficiente l’avvenuta definizione di un incidente di natura cautelare adottata con una decisione di rilievo interinale e strumentale rispetto a quella di merito.

Nessuna illegittimità Ue
Il Consiglio di Stato nella presente decisione ha anche escluso che sussistesse una questione di legittimità comunitaria della disposizione nazionale come prospettato dall'appellante, che contrastava la decisione dei giudici di primo grado contrari all’esclusione nel caso concreto.
Nella normativa europea la causa di esclusione per gravi violazioni professionali ha carattere facoltativo. L'articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/Ue prevede, infatti, che le situazioni da esso elencate relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici sono quelle in presenza delle quali le amministrazioni aggiudicatrici «possono» escludere dalla partecipazione alla procedura d'appalto gli operatori che vi si trovino. La norma europea, quindi, attribuendo agli Stati membri la facoltà di prevedere tale causa di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici non pone alcun altro vincolo. Si tratta di circostanza che esula dalle esclusioni obbligatorie previste dalla norma Ue, ma rientra in quelle facoltative. E per essa vale quel rinvio a «qualsiasi mezzo idoneo» con cui l’amministrazione dimostra il comportamento contrario ai propri doveri da parte dell’impresa e che il Legislatore nazionale - legittimamente (con la lettera c del comma 5 dell’articolo 80 del Codice) - ha ritenuto che sia accertato solo a seguito di una decisione giurisdizionale definitiva.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1955/2017

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