Amministratori

Responsabilità «231» estesa all’istigazione alla corruzione

Nel dare seguito agli impegni assunti dal nostro Paese in sede sovranazionale, il Dlgs 38/2017 («Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato») ha irrobustito l’apparato di norme dedicato al contrasto alla corruzione privata nell’ordinamento italiano.

La novella completa e rafforza la disciplina risalente alla legge 190/2012 (legge Anticorruzione), la quale, nel limitarsi a una sorta di restyling del (già esistente) reato di «infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità» di cui all’articolo 2635 del Codice civile (ancorché sotto la differente rubrica «Corruzione tra privati»), non soddisfaceva le esigenze di tutela sottese alla riforma dell’epoca, suscitando le critiche delle istituzioni europee. La disposizione incriminatrice, infatti, oltre a coinvolgere solo soggetti apicali di società (amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci, liquidatori) e loro sottoposti, continuava a richiedere, diversamente dallo schema tipico della corruzione, non solo che l’accordo corruttivo portasse al compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio e di fedeltà, ma pure che quest’ultimo cagionasse un nocumento – ossia un danno – all’ente. Né la struttura della fattispecie era stata intaccata dal successivo Dlgs 202/2016, che aveva inasprito il regime della confisca.

Il Dlgs 38/2017 ha innanzitutto modificato l’articolo 2635 allargando l’elenco dei soggetti attivi a chiunque eserciti funzioni direttive diverse da quelle proprie degli apicali, nonché a chi commetta il reato «per interposta persona», nell’ambito di enti privati anche a carattere non societario (ad esempio, enti no profit, fondazioni e associazioni). In secondo luogo, l’area della punibilità è stata significativamente estesa attraverso l’anticipazione della consumazione del reato alla conclusione dell’accordo corruttivo (anche a prescindere dall’effettivo compimento di un atto contrario ai doveri dell’ufficio e di fedeltà in esecuzione di esso) e l’eliminazione dell’elemento del danno.

Il decreto del 2017 non si è peraltro limitato a intervenire sul reato di corruzione privata, bensì ha introdotto il nuovo delitto di «istigazione alla corruzione tra privati» (articolo 2635-bis) per reprimere le forme indirette di “innesco” dei fenomeni corruttivi rappresentate dalle condotte (offerta, promessa o sollecitazione) propedeutiche all’accordo, ma non accettate dal loro destinatario; inoltre, ha previsto la sanzione accessoria dell’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per entrambe le fattispecie di cui agli articoli 2635 e 2635-bis del Codice civile.

Sul piano della responsabilità da reato degli enti, anche dopo l’ultima riforma rileva unicamente il delitto di corruzione attiva (commesso dal corruttore per avvantaggiare il suo ente di appartenenza), nella sua versione aggiornata ed estesa agli enti privati a carattere non societario, mentre la novità più importante riguarda, oltre al rafforzamento delle sanzioni, l’inserimento ex novo del delitto di istigazione alla corruzione tra privati, sempre in forma attiva (articolo 25-ter, comma 1, lettera s-bis, del decreto 231): di conseguenza, oggi la responsabilità per l’ente cui appartiene il soggetto attivo scatta sia nelle ipotesi in cui l’accordo corruttivo non produca un atto dannoso, sia in quelle in cui l’offerta, la promessa o la sollecitazione diretta all’accordo corruttivo non venga accettata.

In termini generali, la normativa sconta tuttora un pericolo di ineffettività, in primis a causa del mantenimento della perseguibilità a querela della persona offesa. Nondimeno, per quanto attiene alla responsabilità 231, la recente novella (analogamente a quella della legge 190) impatta fortemente sulla predisposizione dei modelli organizzativi che gli enti sono chiamati ad adottare. Se già, infatti, l’introduzione del delitto di corruzione tra privati nel decreto 231 aveva imposto l’estensione dei presidi anticorruzione concepiti per la fattispecie pubblica pressoché a tutti i settori e aree di attività dell’ente, l’arretramento della punibilità a una fase addirittura precedente l’accordo corruttivo realizzata dalla novella del 2017 complica enormemente la ricerca di strumenti di governance idonei a prevenire la commissione del nuovo reato (articolo 2635-bis), al punto da ingenerare il rischio che, nel concreto, gli enti non riescano a beneficiare della relativa esimente.

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