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Peculato al Casinò che non paga il Comune solo se le somme sono denaro pubblico

di Paola Rossi

Non va considerato automaticamente peculato il mancato riversamento al Comune delle quote spettanti sugli introiti del Casinò da parte della società che lo gestisce su convenzione con l’ente locale. Così la Corte di cassazione - con la sentenza n. 16400/2018 depositata ieri - ha annullato la decisione del tribunale del riesame che aveva respinto l’impugnazione contro il sequestro probatorio delle somme «incriminate».

La questione di diritto
Va, infatti, preliminarmente appurato dal giudice se la cosa o il denaro, oggetto dell’illegittima condotta appropriativa, abbia o meno il carattere dell’«altruità». Altrimenti dal mero mancato pagamento di una somma dovuta a un terzo, fosse anche un Comune, non si può far scaturire la rilevanza penale della condotta. E tanto che si voglia ravvisare il reato di peculato o di appropriazione indebita presupposto per entrambe le imputazioni è l’altruità della cosa o del denaro.
Punto dirimente della vicenda è quindi appurare la proprietà o meno delle somme dovute al Comune prima che la società di gestione le paghi. E, se queste rappresentino addirittura entrate tributarie.

La vicenda
Il Casinò ricorrente di Campione e i due vertici aziendali imputati di peculato o «altra fattispecie criminosa» (come scrive il giudice del riesame) sostenevano come illegittimo il sequestro dei ratei non versati all’ente locale, in quanto tali somme non sarebbero di altri, ma proprie della società, che al limite poteva risultare inadempiente alla convenzione comunale. E sta proprio qua l’indagine da fare nel caso concreto in base alla specifica convenzione che lega il Casinò al Comune: se cioè la proprietà sia in capo al Comune o al gestore, delle somme di spettanza dell’ente locale prima che vengano riversate.

Il ragionamento della Cassazione
La Cassazione dà ragione ai ricorrenti sul punto che il Tribunale non poteva definire irrilevante l’accertamento dell’altruità del denaro che detenevano e, questo vale, anche se - come si adombra dal tribunale - potrebbe trattarsi di appropriazione indebita, un reato che se non prevede la personalità pubblica dell’autore impone che si tratti comunque di cosa altrui di cui si ha il possesso. I ricorrenti contestavano che sugli introiti scattasse automaticamente un diritto di proprietà del Comune poiché quanto dovuto all’ente locale in base alla convenzione dipendeva dai risultati di gestione e dalle liqudità della casa da gioco. Al di là dell’elemento soggettivo di pubblico ufficiale per gli imputati di peculato (uno degli imputati era effettivamente consigliere comunale e nel board della società) la Cassazione precisa che non è ammissibile procedere in base a una generica visione alternativa al peculato, cioè il reato di appropriazione indebita se questa non è espressamente indicata dal giudice.
Conclude la Cassazione che spetta al giudice verificare anche se i ratei da versare al Comune, che tra l’altro non si era lamentato di alcuni ritardi nel pagamento, costituiscano semmai entrate tributarie il che aprirebbe tutt’altro scenario di danno erariale giudicabile dalla Corte dei conti.

La sentenza della Corte di cassazione n. 16400/2018

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