Amministratori

Il Comune paga tutte le spese del processo inutilmente protratto per «inerzia» dell’ente

di Paola Rossi

Lacattiva gestione che un Comune fa della vicenda processuale in cui è coinvolto - determinando uno spreco di giustizia - lo espone al rischio di vedersi accollare le spese processuali di tutti i gradi di giudizio. Così il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2142/2018, ha condannato l’ente locale perché a causa dell’incuria con cui aveva contrastato il ricorso di un privato aveva di fatto determinato un dispendio per la macchina della giusitizia amministrativa determinato da uno strascico processuale di dieci anni e determinando per tutto lo stesso arco di tempo un’ imperdonabile incertezza sui diritti in ballo.

Violazione della lealtà processuale
La condanna è stata determinata quindi dalla violazione dei doveri di lealtà e probità imposti alle parti dall’articolo 88 del Codice di procedura civile. In particolare si trattava di un caso in cui il comportamento tenuto dal Comune nella difesa processuale ha lasciato che si proseguisse in un processo di fatto inutile per assenza di diritti contrapposti tra denunciante e amministrazione locale.

La vicenda
La società ricorrente contro il Comune aveva impugnato il Pip locale in quanto risultava inserito un terreno su cui il privato - pur non essendo proprietario, ma conduttore nell’ambito di una locazione finanziaria - svolgeva movimentazione di materiali per la propria impresa allocata nel territorio comunale confinante. Ma nello svolgimento del processo ultimo dato a emergere era stato quello veramente dirimente e cioè, che il terreno in questione seppur inserito nel Pip risultava nel piano particellare di esproprio pari alla cifra zero. Ciò significa che non era prevista alcuna indennità di esproprio e quindi non si trattava di terreno soggetto a procedura ablatoria.

L’inerzia
Invece, di sottolineare immediatamente tale circostanza il Comune ha contestato la titolarità del diritto ad agire da parte del ricorrente in quanto non proprietario. I giudici di appello sottolineano che così facendo il Comune ha fatto proseguire inutilmente il processo che si sarebbe fermato semplicemente con la produzione in giudizio di tutti gli atti rilevanti. E, anzi avrebbe addirittura potuto impedire l’instaurazione stessa del processo se in un dialogo corretto col privato avesse fatto immediatamente rilevare che la proprietà in discussione non era neanche contemplata nel piano particellare.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 2142/2018

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