Amministratori

L’annullamento dell’informativa antimafia illegittima non giustifica il risarcimento dei danni

di Paolo Canaparo

Sulla sussistenza del presupposto della colpa necessario per ottenere il risarcimento dei danni nel caso di informativa antimafia illegittima, si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza 6 marzo 2018 n. 1409.
Il Supremo consesso di giustizia amministrativa ha ribadito che la configurabilità degli estremi della colpa dell’amministrazione nell’adottare le informative antimafia dev'essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle relative misure.

L’accoglimento della richiesta risarcitoria
Quale premessa metodologica, il Consiglio di Stato ha rammentato che, in base ai principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai fini dell’accoglimento di una domanda risarcitoria proposta nei confronti della Pa per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice deve compiere alcune indagini:
a) in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso;
b) deve, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l'ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo);
c) deve accertare, inoltre, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile a una condotta della Pa;
d) deve accertare, infine, se l’dannoso sia imputabile a responsabilità della Pa; imputazione, questa, che non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, essendo necessaria, invece, una più penetrante indagine sulla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana.
Altrettanto consolidato e radicato è, poi, l’insegnamento giurisprudenziale in sintonia al quale, per il risarcimento dei danni asseritamente provocati dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo, l’interessato, in base all’articolo 2697 codice civile, è tenuto a fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno (Condsiglio di Stato n. 2819/2010, 2967/2008; n. 973/2004). Altrimenti detto, in materia di risarcimento del danno, vertendosi in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova e non invece l'onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi.
Il giudice può intervenire in via suppletiva con la liquidazione equitativa del danno, solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum di danno, ma resta fermo che l'an del danno va provato dall'interessato (Corte di Cassazione, sezione II, 17 marzo 2006 n. 6067). Né si può invocare la consulenza tecnica d’ufficio, perché questa non è un mezzo di prova, ma strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti.

La delicata funzione esercitata dal Prefetto
La configurabilità degli estremi della colpa dell’amministrazione nell’adozione delle informative antimafia dev’essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle relative misure.
Deve essere riconosciuto, in particolare, che il Prefetto è chiamato a svolgere un potere di investigazione non tipizzato e a esprimere le proprie valutazioni in base a un quadro nel quale assumono valore preponderante fatti e circostanze di varia natura. Al riguardo, è stato anzitutto ricordato che l’informazione interdittiva antimafia costituisce «la massima anticipazione di tutela preventiva come risposta dello Stato verso il crimine organizzato», posta a salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pa, essendo finalizzata a impedire che la libera concorrenza sia frustrata da possibili infiltrazioni mafiose e che la Pubblica Amministrazione si trovi ad avere rapporti con soggetti, la cui posizione sul mercato risulti alterata da influenze da parte del crimine organizzato.
La delicatezza e la complessità delle valutazioni sono facilmente immaginabili. Da tempo le organizzazioni mafiose hanno abbandonato la classica e tradizionale fisionomia di un tempo (che le vedeva impegnate in settori quali le estorsioni, il gioco d'azzardo, il contrabbando ecc), per diversificare i propri interventi. La mafia, da tempo, è divenuta imprenditrice, sempre pronta a mimetizzarsi e ad adattarsi alle varie situazioni, cogliendo le occasioni di guadagno, infiltrandosi in tutti i settori (mercato azionario, appalti, lavori pubblici, gestione dei rifiuti). Lo Stato, non senza difficoltà, reagisce alla nuova dimensione del fenomeno mafioso.
E uno degli strumenti più avanzati di difesa è rappresentato proprio dalle certificazioni antimafia e, soprattutto, dalle informative prefettizie mirate a combattere la penetrazione dell'organizzazione criminale nelle attività produttive del Paese, attraverso un mezzo di reazione flessibile e (che dovrebbe essere) tempestivo, volto a rilevare il contrasto di infiltrazioni mafiose anche in mancanza di fatti penalmente rilevanti (e di formali provvedimenti applicativi di misure di prevenzione).
Si tratta dunque di un potere di indagine che – in quanto nettamente differenziato dal sistema probatorio tipico del processo penale – mira a cogliere e valorizzare anche elementi costitutivi di semplici indizi del rischio di condizionamento, attraverso il tentativo di infiltrazione mafiosa, delle scelte e degli indirizzi delle imprese interessate. Basta pensare – per poter apprezzare adeguatamente la delicatezza e complessità che possono assumere le indagini demandate al Prefetto – ai casi in cui vengono in considerazione rapporti di parentela con soggetti malativosi, alle dichiarazioni di pentiti, alle pressioni esercitabili ab externo sull'impresa, alla c.d. “contiguità compiacente”, al socio occulto o di fatto, alle frequentazioni con pregiudicati ed alla difficoltà di poterle qualificare come occasionali od abituali, al rapporto commerciale, più o meno intenso, con impresa gestita da mafiosi, alla partecipazione di tali soggetti, formale o di fatto, negli assetti proprietari di un'impresa aggiudicatrice di un appalto.
L’ampiezza dei poteri di accertamento, giustificata dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento, giustifica che il prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza - quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti - ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose (tra le tante Consiglio di Stato n. 5880/2010).
Ciò presuppone e comporta nello stesso tempo un'ampia potestà discrezionale in capo all'organo istruttore, cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell'ordine pubblico, in relazione alla ricerca ed alla valutazione di tali elementi, da cui poter desumere eventuali connivenze e collegamenti di tipo mafioso. È chiaro, però, che, affinché tale potere non sfoci in un arbitrio, il quale ingiustamente minerebbe l'attività di impresa presidiata dal principio di libera iniziativa economica di cui all'articolo 41 della Costituzione dall'istruttoria deve emergere una qualche influenza del sodalizio criminale sull'attività e sulle scelte del soggetto che ne sia destinatario.
Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell'informativa deve dar conto in modo organico e coerente di quei fatti, aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, si possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista. L'informativa interdittiva deve quindi essere assistita da congrua motivazione, che dia contezza di tale adeguata istruttoria.

La sussistenza di responsabilità risarcitorie
Da queste considerazioni discende che, per ritenere fondata una domanda risarcitoria a seguito dell'annullamento di una interdittiva antimafia, si deve verificare se sia complessivamente rimproverabile l'attività della pubblica amministrazione – a titolo quanto meno colposo – e se sussista il nesso di causalità tra la medesima attività ed il danno che si deduce sopportato. La peculiarità del provvedimento di competenza del Prefetto è rappresentata dal fatto che la regola di condotta non è precisamente delimitata dalla fonte attributiva del potere, la quale attribuisce a tale Autorità il potere di ritenere rilevanti – ai fini della sussistenza di un rischio di infiltrazione mafiosa – elementi extra-giuridici, eterogenei tra loro, che sistematicamente valutati facciano ritenere «non irragionevole» il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza (per tutte, Consiglio di Stato, Sezione III, n. 1743/2016), non si può individuare un criterio astratto, e rilevante in ogni fattispecie, per individuare le circostanze di fatto sintomatiche del pericolo di infiltrazione.
Le relative indagini e le conseguenti valutazioni riguardano fattispecie caratterizzate dalla discrezionalità amministrativa e attengono a situazioni tanto complesse, sicché una concreta rimproverabilità dellamministrazione non si può ravvisare per il solo fatto che sia stato emesso un atto viziato da eccesso di potere; piuttosto occorrendo che emerga una violazione ingiustificabile delle regole fondanti l'esercizio e l'espressione del potere pubblico: siffatta ingiustificabilità dovendo essere verificata anche in ragione delle circostanze dedotte dal ricorrente e di quelle valutate dal giudice con la sentenza che abbia annullato il provvedimento impugnato.
Da tali considerazioni deriva, come conseguenza, che il mero annullamento non induce – ex sé riguardato – il compiuto ed esaustivo accertamento in ordine alla presenza – e rilevanza – degli elementi necessari suscettibili di dispiegare concludenza ai fini del giudizio di responsabilità: piuttosto, occorrendo che la domanda risarcitoria fondatamente prospetti – e comprovi – la sussistenza di elementi da cui si possa desumere la inescusabile valutazione della portata degli elementi di fatto, a suo tempo valutati.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1409/2018

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