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Riforma del terzo settore, 20mila Onlus al cambio veste

È l’anno della scelta per 20mila Onlus. Di questa qualifica fiscale, infatti, non resterà neanche il nome: la riforma del terzo settore avviata nel 2016 e ora in fase di attuazione prevede l’uscita di scena del regime fiscale agevolato previsto da vent’anni per le organizzazioni non lucrative (Dlgs 460/1997) e il debutto di nuovi regimi fiscali.

Due passaggi necessari
Perchè scatti definitivamente il cambio di rotta sono ancora necessari due step:
• il via libera della Commissione europea sui nuovi regimi forfettari di tassazione per gli enti del terzo settore, previsti dalla riforma;

• la creazione del Registro unico nazionale del terzo settore, prevista per l’inizio del 2019.

Questo è dunque un anno di transizione, nel quale le Onlus devono decidere a quale delle sette sezioni del Registro unico iscriversi, in base alla loro organizzazione e in base alla tipologia e consistenza delle loro entrate. Iscriversi non è obbligatorio ma le organizzazioni che non lo faranno rinunceranno ai nuovi regimi fiscali agevolati e all’attribuzione del cinque per mille dell’Irpef. Rischiano poi la devoluzione del patrimonio ad altri enti non lucrativi (la conseguenza che è sempre seguita, finora, alla perdita della qualifica di Onlus).
A essere Onlus è solo una parte degli enti del terzo settore: 20.221 organizzazioni su 336.275 istituzioni non profit attive in Italia (ultimo dato Istat disponibile).
Due terzi delle Onlus operano nell’assistenza sociale e socio-sanitaria (52,8%) e nella beneficenza (19%).
La normativa che aveva istituito il regime di favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale prevedeva 11 settori di attività e una serie di agevolazioni fiscali su imposte dirette, Iva, imposta di bollo, successioni e donazioni. Le Regioni, poi, applicano per queste organizzazioni l’esenzione dall’Irap o un’aliquota agevolata dell’imposta regionale.

La veste da adottare
In vista dell’abrogazione delle vecchie regole, gli enti e i loro consulenti stanno ora valutando la veste da adottare. Il Registro unico del terzo settore prevederà sette forme associative fra le quali scegliere (alle quali corrispondono sezioni ad hoc del Registro stesso): organizzazione di volontariato, associazione di promozione sociale, ente filantropico, impresa sociale (incluse le cooperative sociali), rete associativa, società di mutuo soccorso, altro ente del terzo settore. A ciascuna tipologia, corrisponderà un trattamento fiscale (si veda il grafico in basso). Sono comuni a quasi tutte le categorie gli incentivi potenziati per i donatori (detrazioni e deduzioni), una serie di agevolazioni sulle imposte indirette e il social bonus (un credito d’imposta per chi aiuta gli enti non profit a recuperare immobili inutilizzati).
Una Onlus che ha immobili potrebbe valutare conveniente, ad esempio, iscriversi come organizzazione di volontariato o associazione di promozione sociale: se ne ha i requisiti, beneficerà infatti dell’esenzione Ires per i redditi derivanti dagli immobili destinati ad attività non commerciali, che non è prevista per le altre tipologie di enti del terzo settore.
«Chi oggi ha la qualifica di Onlus - spiega l’economista Stefano Zamagni, componente del Consiglio nazionale del terzo settore - non ha nulla da temere con il passaggio al Registro unico: tutte le provvidenze di tipo fiscale previste dal 1997 rimangono, anzi vengono potenziate. Certo - continua - ci sono una serie di obblighi sul fronte della trasparenza e del ricambio dei vertici delle organizzazioni, che potrebbero scoraggiare alcuni enti, credo non più del 10-15% del totale, dall’iscriversi al Registro».

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